Indimenticabile Marco Pantani, 20 anni fa l’ultima solitaria corsa
Il campione di Cesenatico morì il 14 febbraio del 2004 in un hotel di Rimini
Infine scalò il Cielo, staccando ancora una volta tutti e per sempre. Per Marco Pantani «andarsene da solo» era istinto e normalità. In bici però, sulla strada, libero e imprendibile. Vent’anni fa se ne andò invece dalla vita, dalla sua. Non da quella di milioni di appassionati che, generazione dopo generazione, solamente al pensiero s’emozionano ancora. E lo incitano come se fosse ancora lì, sui pedali e con la bandana, a regalare inestricabili e indelebili momenti di felicità. La sua è stata una favola rosa, gialla e infine nera, che continua a scatenare sensazioni forti e vivide.
Marco Pantani e il tempo. Quello dei distacchi travolgenti che infliggeva agli avversari, quello delle tante rinascite realizzate nel corso della sua carriera, quello dell’ultima dolentissima squalifica di Madonna di Campiglio e poi della disillusa discesa, triste solitaria y final, conclusa in pieno inverno a Rimini, in un anonimo hotel della riviera, Le Rose, poi abbattuto e ricostruito, nel giorno degli innamorati. Quello scatto al contrario travolse lui e l’Italia intera, tutto il mondo delle due ruote, un universo di appassionati. Quella notte i giornali in edizione speciale vennero distribuiti in strada.
Pantani s’era ritirato dalle corse pochi mesi prima, ma era già in nuce il suo mito che con la sua scomparsa esplose letteralmente. E oggi siamo qua, orfani del suo sorriso timido e riservato dietro al quale celava il fuoco e il furore. Orfani e al tempo stesso grati per i momenti di estasi che ci ha donato danzando sulla bici mentre domava le montagne col suo stile inimitabile: come nessun’altro. Ci confessiamo quindi rapiti dal suo talento che inevitabilmente proviamo a far rivivere riguardando le sue imprese sul web, impegnati a sostenerlo metro dopo metro per vederlo trionfare a braccia alzate, come se tutto avvenisse in diretta: e sul traguardo esultiamo come 30 anni fa, di nuovo increduli.
Pantani non c’è più, Pantani ci sarà sempre. È un capitolo del nostro Paese e della nostra vita. Un mito, un’icona, una stella. Poche settimane fa se n’è andato un altro eroe del passato che incarnava qualcosa di simile: Gigi Riva. Campioni di tutti, mamme e nonne comprese. Anche fuori dai confini dei rispettivi sport. Al di là di qualsiasi bandiera perché contenevano tutti i colori. Campioni «diversi», non fra loro, ma rispetto agli altri. Non è un caso che quest’anno il Tour de France partirà per la prima volta dall’Italia passando proprio davanti a casa sua nella seconda frazione, la Cesenatico-Bologna.
Non poteva che essere romagnolo il «Pirata». Nato sul piatto lungomare, realizzato sui ripidi pendii delle colline circostanti, sul Carpegna, e poi sulle Alpi e sui Pirenei. La sua storia è un romanzo pieno di imprevisti, con un ultimo capitolo ancora immerso nel mistero e chissà per quanto ancora. Forse per sempre.
Proprio in questi giorni sta per arrivare dalla procura di Rimini la terza archiviazione per un’indagine di nuovo aperta sulla sua morte, avvenuta ufficialmente per un mix di farmaci e cocaina auto assunti e non per omicidio. A nulla pare siano valsi i nuovi indizi forniti dalla mamma, l’indomita e mai assente Tonina convinta che «Marco non fosse solo e che qualcuno l’ha ucciso».
Un atto finale tragico, da rockstar. Preceduto da mesi di sofferenza e frustrazione che presero il via a Madonna di Campiglio, quando stava trionfando al Giro «stritolando» gli avversari. Era il 1999 e tutto diventò nero. La squalifica per doping (per lui «un tranello») fu più lancinante dei tre gravissimi infortuni che gli fecero saltare anni interi di corse, Giri e Tour. Marco ebbe però la forza di consegnare a sé stesso e ai propri tifosi altre due perle nella Grande Boucle del 2000, le ultime.
Il campione di Cesenatico concentrò tutti i suoi tesori fra il ’94 e il ’98 (oltre alle 4 tappe stravinte nel fatidico e infausto Giro del ’99), nonostante i numerosi stop forzati. Ogni vittoria un capolavoro. Un evento. Non è il numero delle corse vinte, ma «come». Monte Giovo, Mortirolo, Stelvio, Marmolada, Monte Campione, Alpe d’Huez, Tourmalet, Galibier, Peyresourde, Plateau de Beille, Les Deux Alpes.
Quelle strade, quelle vette sono piene di statue, targhe, raffigurazioni a lui intitolate e poi striscioni e scritte sull’asfalto: come dire, Pantani è il ciclismo. In Italia come in Francia e altrove. A Cesenatico c’è il museo, i fan club non si contano. Fra i monumenti (pop) più riusciti ecco la gigantesca biglia sull’A14, all’altezza del grattacielo che fu del Mercatone Uno, lo sponsor che gli costruì addosso la squadra che nel ’98 fece la storica doppietta Giro e Tour: stavolta è lui a salutare dal bordo strada, con i suoi tifosi che sfrecciano in auto. Ruoli invertiti. Il Pirata è entrato nell’immaginario collettivo, tramandato di padre in figlio, supportato dalle riprese televisive delle corse presenti in rete, ma anche da film, documentari, speciali tv. E poi tanti libri, e altri ne continueranno a uscire, e pièce teatrali. Pantani è entrato anche in molte canzoni: Stadio, Venditti, Nomadi, Litfiba, Baccini e altri. Pantani è con noi e noi con lui.
Pino Roncucci (primo allenatore): «Era determinato. Disse che voleva vincere il Giro D’Italia dilettanti già prima di averlo corso all’esordio. Il fisico era impressionante. Al mattino all’alba aveva 46 battiti cardiaci»
Davide Cassani: «Marco aveva la fragilità di un cristallo. Su Madonna di Campiglio e sulla sua espulsione dal Giro d’Italia la si può pensare come si vuole. Ma il suo orgoglio smisurato venne umiliato e lui non si riprese mai»