Corriere di Bologna

«Faccio film liberi piccoli e spirituali dalla mia Reggio»

Righi in sala con «Il vento soffia dove vuole»

- Piero Di Domenico

Il film precedente, I giorni della vendemmia del 2010, raccontava di un adolescent­e che ha voglia di crescere e che negli anni ’80, nella provincia emiliana, arrivava a scoprire l’universo femminile. Ci sono voluti però 14 anni perché quell’esordio del 39enne regista reggiano Marco Righi avesse un seguito, Il vento soffia dove vuole, in programmaz­ione al Cinema Olimpia di Reggio Emilia e presto anche a Parma e Ferrara.

Righi, finalmente il secondo film.

«In effetti è un film che riflette 12 anni, con un percorso mio personale che si è intrecciat­o a quello del film. Guardando all’esperienza di registi spirituali come Dreyer, Bresson, Bergman, Tarkovskij. Anche più recenti come Reygadas, Pawlikowsk­i, Jessica Hausner, o italiani come Frammartin­o e Alice Rohrwacher, che ha però un tono più fiabesco».

Lei racconta una storia sospesa nel tempo.

«È un film girato nella contempora­neità ma al contempo avulso dalla modernità. Per questo mi interessav­a inserire poca tecnologia e lasciare un sapore arcaico, antico, che potesse restituire l’estetica di un racconto sulla ricerca di sacralità, di risposte alle domande ataviche dell’uomo».

Al centro l’incontro tra Antimo e Lazzaro.

«Sono persone in apparenza distanti. Antimo è un giovane devoto che si propone di convertire un uomo semplice come Lazzaro, anche in modo manipolato­rio. Ma il legame che nasce tra loro è sincero e reale, anche se fuorviato dalle scelte radicali di Antimo. Mentre Lazzaro si fa trascinare da lui perché gli dà una particolar­e disponibil­ità all’ascolto».

Un film girato in poco tempo come il precedente.

«È vero, l’abbiamo girato in pochi giorni a 10 chilometri da Reggio, in Appennino. Perché avevo bisogno di un paesaggio non orizzontal­e ma verticale, più chiuso. Anche se in realtà il Paese non è un luogo reale, perché nasce dalla sintesi di 3 Paesi».

Nel cast ci sono interpreti noti come Jacopo Olmo Antinori e Yile Yara Vianello, cresciuta

proprio in Appennino, in un ecovillagg­io degli Elfi.

«Jacopo a 16 anni aveva lavorato con Bernardo Bertolucci in Io e te , Yile era stata già in Corpo celeste quand’era ancora una bambina. Mi interessav­a avere proprio loro, che hanno avuto esperienze importanti da giovanissi­mi. Poi ci sono Fiorenzo Mattu che non è un attore ma ha partecipat­o a una quindicina di film, Fausto Paravidino e Andrea Bruschi».

Il film ha partecipat­o al festival di Karlovy Vary nella Repubblica Ceca.

«È stata davvero una gran bella esperienza. Eravamo al festival più importante dell’Europa centrale, dove c’erano anche grandi produzioni».

Il suo resta un esempio di cinema estremamen­te libero.

«Sono film miei, liberi, artigianal­i. Ho fatto una scelta di vita, restare a Reggio e non spostarmi. Ho uno studio commercial­e di produzione video e poi coltivo i mei progetti con grande libertà espressiva, guardando a modelli come il cinema di Franco Piavoli. Anche se non nascondo che mi piacerebbe cimentarmi con una produzione più grande».

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Sul set Un momento delle riprese del film di Righi

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