Corriere di Bologna

Il libro sugli Ucelli di Nemi: «Salvarono tanti ebrei rischiando la propria vita»

- Sara D’Ascenzo

Tre storie di «Giusti» ricordate a Ferrara nella Giornata europea che celebra le persone che prima che a sé hanno pensato agli altri. Oggi alle 17.30 al Meis di Ferrara (via Frangipane, 81) si parlerà di della famiglia di Leonardo Fava, che salvò una famiglia dopo la razzia del ghetto di Roma e quella di un luogo — ora il museo Casa di Goethe — i cui spazi all’epoca della guerra furono il rifugio di un ebreo originario di Parma che visse nascosto grazie all’aiuto della portiera del palazzo. La storia è quella raccontata da Ugo Savoia, ex giornalist­a del Corriere della Sera ed ex direttore del Corriere del Veneto, nel libro Dalla parte giusta. La storia di Guido Ucelli di Nemi e Carla Tosi che sfidarono le SS e il regime per aiutare gli amici ebrei (Neri Pozza, pagine 192, e 18). Gli Ucelli furono una coppia di imprendito­ri milanesi che nascose numerosi ebrei organizzan­done la fuga in Svizzera e per questo furono «imprigiona­ti dalle SS nel carcere di San Vittore dove subirono

violentiss­imi interrogat­ori e successiva­mente incarcerat­i in luoghi differenti», come recita la targa affissa nel Giardino dei Giusti di Milano in loro memoria. Industrial­e illuminato, Ucelli di Nemi era celebre per l’impresa di Nemi, il recupero delle navi romane nel lago della località vicino Roma e per il Museo Nazionale della scienza e della tecnologia «Leonardo da Vinci», realizzato a Milano grazie all’intercessi­one di Guglielmo Marconi, che credeva in lui.

«Quello che mi ha colpito — spiega Savoia — è che questa famiglia, che poteva girarsi dalla parte opposta di fronte ai crimini nazifascis­ti, si mise in gioco per salvare le vite altrui. I genitori ma anche i figli, che a vario livello appartenev­ano alla Resistenza delle fiamme verdi, misero al sicuro non solo ebrei, ma anche persone renitenti alla leva. Nella grande casa di Milano e nella villa in Liguria, nascosecel­lenze ro quanti avevano bisogno di sparire alla vista del regime. Un partigiano di cui nessuno sapeva il nome, che era rimasto ferito, era stato portato da loro una settimana prima della Liberazion­e e tenuto in soffitta finché un camion di partigiani non era arrivato a riprenders­elo». Nel libro, che descrive un’unione più forte del pericolo che correvano i due coniugi, un ruolo importante lo ebbe proprio Marconi, che — spiega ancora Savoia — «ha creduto subito al progetto di un museo che potesse racchiuder­e tutte le ecterza della produzione italiana. Gli era sembrata un’ottima idea, ma il progetto del museo prima accelerava, poi rallentava , perché a Roma si era creata una sorta di opposizion­e silente: c’era chi sosteneva che dovesse sorgere nella Capitale e non nella rivale Milano. Poi, prima della guerra, Marconi morì ma Ucelli di Nemi, proprio per via dell’impresa di recupero delle navi, avendo ottimi contatti coi vertici del regime, riuscì a portare avanti il progetto che però vide la luce solo nel ‘53. Ho scritto questa storia dopo aver letto il diario di Ucelli di Nemi che mi ha consegnato la figlia. Ho sempre avuto la passione per la storia, soprattutt­o per quella parte che non abbiamo mai studiato a scuola, come il fascismo o l’occupazion­e nazista in Italia, perché i programmi delle scuole non arrivano a toccarli».

” La testimonia­nza Furono una famiglia che invece di girarsi dall’altra parte trasformò le proprie case in rifugio

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Intesa Guido Ucelli e Carla Tosi

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