Corriere di Bologna

L’ingresso in aula con la stampella e quegli appunti presi sul quaderno Il medico pronto a dire la sua verità

L’oculista sotto accusa affronta la Corte dopo undici mesi di carcere

- G. Rot.

Entra in aula scortato dalla polizia penitenzia­ria, l’andatura incerta è appena corretta da una stampella. Pantaloni della tuta grigi, le sneakers ai piedi, una maglietta tecnica blu e un piumino leggero dello stesso colore. La barba tagliata di fresco, l’espression­e severa: il dottor Giampaolo Amato fende la folla che occupa per intero la piccola aula al piano terra dell’ex Maternità. Un saluto veloce ai fratelli e l’occhiolino agli amici che lo incoraggia­no con una pacca sulla spalla e quasi lo accompagna­no verso il banco degli imputati. Volge lo sguardo solo per qualche secondo verso la parte sinistra dell’aula dove hanno preso posto le amiche e la sorella di sua moglie Isabella.

È la prima volta da quando è stato arrestato, ormai undici mesi fa, che rivede quei volti, che incrocia lo sguardo con la cognata Anna Maria, a lungo parte della sua famiglia e ora motore principale della richiesta di verità e giustizia. È stata la prima a sospettare, a illuminare le zone d’ombra di questa vicenda e a chiedere di far partire le indagini.

Amato si sistema accanto ai suoi legali, scambia con loro poche parole. Al polso sinistro porta un orologio di plastica arancione, il destro è fasciato da una garza. Non ha la fede: non avrebbe in ogni caso potuto indossarla, sono le regole per tutti i detenuti. Si toglie la giacca e tira fuori un quaderno a quadretti. Le pagine sono scritte fitte, le sfoglia più volte. Estrae dalla tasca due penne, una rossa e una blu, e le sistema allineate al centro del quaderno. Sottolinea alcuni passaggi in attesa che entri la Corte con i giudici popolari. Poi alza gli occhi e osserva il grande dipinto che sovrasta l’aula, al centro della scena c’è Gesù che parla ai pescatori.

Il processo inizia poco dopo le 10, si parte dalle questioni preliminar­i, bisogna decidere sulle richieste di costituzio­ne di parte civile. Contro di lui ci sono i familiari della moglie Isabella e della suocera Giulia, poi ancora l’Ausl, il suo (ex) datore di lavoro, e l’associazio­ne delle donne italiane. In attesa che la Corte decida chi ammettere e chi no, lo fanno accomodare nella camera di sicurezza poco distante. Poco prima trova il modo di parlare con alcuni amici: sono i primi sorrisi della giornata, si raccomanda con loro di portare le sue condoglian­ze a un loro conoscente. «Diglielo, ci tengo».

Il processo è solo all’inizio, ci saranno udienze molto più complicate. Amato lo sa bene, i suoi legali lo hanno preparato da tempo. Scaveranno in ogni anfratto della sua vita privata, tireranno fuori la crisi con la moglie, la relazione che aveva con una donna molto più giovane di lui. E poi le chat in cui parla dei farmaci, quelli che per l’accusa ha usato per uccidere. Si è sempre detto innocente, lo farà ancora davanti ai giudici. Quando racconterà la sua verità.

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Vittime A sinistra Isabella Linsalata, ginecologa e moglie di Amato; a destra Giulia Tateo, la suocera morta tre settimane prima della figlia
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