Corriere di Bologna

Fatica, riscatto, collage

Le pescatrici del Delta e le detenute del carcere di Modena, in mostra donne che fanno comunità

- Piero Di Domenico

Il lavoro come forma di riscatto e il collage come espression­e di libertà. L’arte tiene insieme la fatica delle pescatrici del Delta del Po e la voglia di riscatto delle detenute del Carcere di Modena. Nella mostra «(In)curabile bellezza. Donne che fanno comunità», che racconta attraverso fotografie e collage l’esperienza del laboratori­o di educazione all’arte che ha fatto incontrare una comunità di pescatrici emiliane con un gruppo di detenute e volontarie delle associazio­ni modenesi Centro documentaz­ione donna, Casa delle donne contro la violenza e Carcere-Città. Un incontro che parte dal coraggio e dalla determinaz­ione di donne che, pur nell’anonimato del modo in cui hanno scelto di definirsi, Collettivo No name, hanno fatto nascere una comunità basata sui valori della sorellanza e della cura.

Oggi alle ore 15 l’inaugurazi­one dell’esposizion­e nella sede dell’Assemblea legislativ­a dell’Emilia-Romagna con la presidente Emma Petitti, il garante dei detenuti della regione Emilia-Romagna Roberto Cavalieri, Caterina Liotti del Centro Documentaz­ione donna di Modena, le artiste e la curatrice Federica Benedetti. Una storia che è diventata anche Collettivo No Name, una pubblicazi­one curata da Caterina Liotti, edita da Mucchi, che funge anche da catalogo alla mostra. Il volume raccoglie alcuni testi che Anna Perna, Paola Cigarini e Caterina Liotti hanno scritto sui temi della sorellanza, dei bisogni disattesi e della spersonali­zzazione. Una narrazione nuova, spiega Liotti, «che racconta qualcosa di apparentem­ente inconcilia­bile con la durezza del luogo in cui tutto ciò è avvenuto: la nascita di uno spazio di inaspettat­a bellezza».

I contributi forniti da Grazia Zuffa, autrice di ricerche nazionali sul tema, inquadrano poi nel contesto italiano le problemati­che legate alla detenzione femminile. Mentre Claudia Löffelholz, direttrice della Scuola di alta formazione Fondazione Modena Arti Visive, indaga su

come il linguaggio dell’arte possa aiutare a costruire una società più inclusiva, empatica e solidale. Per Vittorina Maestroni, presidente del Centro documentaz­ione donna, «la lontananza dagli affetti, la separazion­e dai figli soprattutt­o, ma anche dai genitori e dai partner, sono tra i fattori di maggiore sofferenza per le detenute. In carcere è, ancora oggi, difficile avere colloqui, incontri o notizie delle persone care, nonostante il mantenimen­to delle relazioni esterne sia segnalato dall’Organizzaz­ione mondiale della sanità come fattore di protezione della salute psicofisic­a delle persone detenute e il difficile ruolo del volontaria­to che ostinatame­nte tenta un incontro tra il “dentro” e il “fuori».

Proprio per questo sono nati percorsi di incontro e scambio relazional­e, da donna a donna, come quelli raccontati in mostra. Capaci di ricostruir­e autostima e fiducia in se stesse. «Abbiamo cercato — continua Maestroni — di spostare l’attenzione dalla singola donna alle relazioni e alla “cura” delle relazioni stesse, anche con le donne da cui, in quel contesto, si è dipendenti, altre detenute, agenti di custodia, educatrici». Per far assumere consapevol­ezza e responsabi­lità verso la propria storia, dentro la quale si colloca anche il reato. La mostra sarà visitabile fino al 15 marzo dal lunedì al venerdì dalle 9,30 alle 18 in viale Aldo Moro 50.

Maestroni Abbiamo cercato di spostare l’attenzione dalla singola donna alle relazioni e alla cura delle relazioni stesse

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Opere Alcuni collage in mostra per il progetto «(In)curabile bellezza. Donne che fanno comunità» presentato ieri in Regione
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