I VANTAGGI DEL VOTO DISGIUNTO
La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna suscita alcune riflessioni su cui la politica dovrebbe indugiare. Allorquando si tratta di compiere una scelta, qualunque ne sia il genere, vengono in rilievo una serie di elementi sul cui sfondo si dovrebbe stagliare, a mo’ di faro, l’interesse della collettività. In primo luogo, assume soverchiante importanza la condivisione delle decisioni; condivisione che, come tale, deve essere percepita all’esterno. Al cospetto di ogni determinazione impattante per la vita del Paese, limitarsi a professarsi uniti, senza che alle declamazioni corrisponda un’effettiva unità d’intenti, rischia di dar vita a risultati controproducenti e deleteri. Questo perché le contrapposizioni interne sono impossibili da nascondere; alle volte, peraltro, al di là delle dichiarazioni di facciata, sono gli stessi protagonisti a non volerle celare e questo con il dissimulato intento di far pesare la propria forza. I conflitti, ancor più quando si tenta in modo improprio di nasconderli, generano lacerazioni e imbarazzi che lo «spettatore» – e di ciò non dovrebbe difettare un’adeguata avvedutezza – non apprezza di certo, maturando, magari in modo latente ma con sentimento progressivamente crescente, disapprovazione.
Tutto ciò risulta amplificato allorquando la scelta concerne le persone. Il lungo ed estenuante tira e molla su questa o quella figura finisce col partorire una soluzione comunque conflittuale che logora tutti e fornisce uno «spettacolo» mal vissuto all’esterno.
Una coalizione, proprio perché animata da obiettivi comuni, deve essere capace di trovare una sintesi; il che può anche avvenire, se del caso, ricorrendo a «candidati esterni» che, per qualità, professionalità ed esperienze pregresse, possano incarnare al meglio funzioni e ruolo e, come tali, possano essere percepiti dalla collettività. Sapersi emancipare, nel senso di saper scegliere prescindendo dalla stretta appartenenza a questo o a quel partito, è segno di grande forza – al tempo stesso, può rappresentare al meglio quell’idea del mettersi al servizio dei cittadini cui deve ispirarsi l’azione politica – ogniqualvolta la scelta si indirizzi verso personalità di eccellenza che si rendano disponibili all’assunzione di un incarico.
Il Paese, ancor più in una contingenza e con un’agenda come quella dettata dagli accadimenti contemporanei, ha bisogno di persone meritevoli e leali. La fedeltà, se intesa come stretta osservanza e sottoposizione, è controproducente per tutti, a cominciare da chi si intesta la relativa scelta.
Il voto disgiunto si può rivelare – attraverso il suo concreto e impattante utilizzo – uno straordinario strumento di valutazione delle persone di cui l’elettore democraticamente dispone, come tale idoneo a chiamare direttamente in causa le scelte operate da tutti i partiti e da ogni coalizione. Costituisce un segnale a cui prestare massima attenzione, perché premia o disapprova scelte direttamente riconducibili ai partiti; alla luce di ciò, in caso di soluzioni non apprezzate a cui non seguano inversioni di rotta, si rischia, col passare del tempo, di andare incontro a un’inesorabile perdita di consenso.
Se a ciò si aggiunge la crescente disaffezione rispetto al dovere civico di recarsi nelle cabine elettorali, figlia anche dell’incapacità di suscitare entusiasmo da parte delle persone di volta in volta proposte, penso sia giunto il momento affinché la politica, tutta, si faccia promotrice di un dibattito su cosa significhi darsi carico delle scelte rilevanti per la vita del Paese. Un dibattito che dovrebbe partire dall’interno, attraverso la condivisione di valori e di interessi strategici sui quali fondare l’azione politica. V’è necessità di maturare una consapevolezza piena – e sana – in merito al fatto che l’attività politica è prima di tutto sacrificio delle proprie prerogative personali e di quelle delle persone vicine (le quali, proprio in quanto vicine, sono chiamate a sopportare un sacrificio in nome della limpidezza dell’immagine del detentore del potere), alla stregua di un’azione da svolgersi ad esclusivo vantaggio della collettività tutta. Lo spirito di servizio, vale a dire quella condizione per cui l’esercizio del potere avviene privilegiando in via esclusiva il senso del dovere e la correlativa responsabilità, deve rappresentare la bussola dell’agire. Il tutto accompagnato dalla piena coscienza che ogni decisione, anche la più piccola, non può che perseguire – pena, in difetto, la concretizzazione di un vero e proprio tradimento della fiducia confidata nella cabina elettorale – finalità di prosperità, di benessere e di salvaguardia dei fondamentali bisogni e interessi che pertengono a tutti gli individui. Assegnando priorità e benefici ai più disagiati e agli sfavoriti, in nome di una virtuosa prospettiva di riequilibrio rispetto alle situazioni di svantaggio.