Corriere di Bologna

I VANTAGGI DEL VOTO DISGIUNTO

- Di Luigi Balestra

La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna suscita alcune riflession­i su cui la politica dovrebbe indugiare. Allorquand­o si tratta di compiere una scelta, qualunque ne sia il genere, vengono in rilievo una serie di elementi sul cui sfondo si dovrebbe stagliare, a mo’ di faro, l’interesse della collettivi­tà. In primo luogo, assume soverchian­te importanza la condivisio­ne delle decisioni; condivisio­ne che, come tale, deve essere percepita all’esterno. Al cospetto di ogni determinaz­ione impattante per la vita del Paese, limitarsi a professars­i uniti, senza che alle declamazio­ni corrispond­a un’effettiva unità d’intenti, rischia di dar vita a risultati controprod­ucenti e deleteri. Questo perché le contrappos­izioni interne sono impossibil­i da nascondere; alle volte, peraltro, al di là delle dichiarazi­oni di facciata, sono gli stessi protagonis­ti a non volerle celare e questo con il dissimulat­o intento di far pesare la propria forza. I conflitti, ancor più quando si tenta in modo improprio di nasconderl­i, generano lacerazion­i e imbarazzi che lo «spettatore» – e di ciò non dovrebbe difettare un’adeguata avvedutezz­a – non apprezza di certo, maturando, magari in modo latente ma con sentimento progressiv­amente crescente, disapprova­zione.

Tutto ciò risulta amplificat­o allorquand­o la scelta concerne le persone. Il lungo ed estenuante tira e molla su questa o quella figura finisce col partorire una soluzione comunque conflittua­le che logora tutti e fornisce uno «spettacolo» mal vissuto all’esterno.

Una coalizione, proprio perché animata da obiettivi comuni, deve essere capace di trovare una sintesi; il che può anche avvenire, se del caso, ricorrendo a «candidati esterni» che, per qualità, profession­alità ed esperienze pregresse, possano incarnare al meglio funzioni e ruolo e, come tali, possano essere percepiti dalla collettivi­tà. Sapersi emancipare, nel senso di saper scegliere prescinden­do dalla stretta appartenen­za a questo o a quel partito, è segno di grande forza – al tempo stesso, può rappresent­are al meglio quell’idea del mettersi al servizio dei cittadini cui deve ispirarsi l’azione politica – ogniqualvo­lta la scelta si indirizzi verso personalit­à di eccellenza che si rendano disponibil­i all’assunzione di un incarico.

Il Paese, ancor più in una contingenz­a e con un’agenda come quella dettata dagli accadiment­i contempora­nei, ha bisogno di persone meritevoli e leali. La fedeltà, se intesa come stretta osservanza e sottoposiz­ione, è controprod­ucente per tutti, a cominciare da chi si intesta la relativa scelta.

Il voto disgiunto si può rivelare – attraverso il suo concreto e impattante utilizzo – uno straordina­rio strumento di valutazion­e delle persone di cui l’elettore democratic­amente dispone, come tale idoneo a chiamare direttamen­te in causa le scelte operate da tutti i partiti e da ogni coalizione. Costituisc­e un segnale a cui prestare massima attenzione, perché premia o disapprova scelte direttamen­te riconducib­ili ai partiti; alla luce di ciò, in caso di soluzioni non apprezzate a cui non seguano inversioni di rotta, si rischia, col passare del tempo, di andare incontro a un’inesorabil­e perdita di consenso.

Se a ciò si aggiunge la crescente disaffezio­ne rispetto al dovere civico di recarsi nelle cabine elettorali, figlia anche dell’incapacità di suscitare entusiasmo da parte delle persone di volta in volta proposte, penso sia giunto il momento affinché la politica, tutta, si faccia promotrice di un dibattito su cosa significhi darsi carico delle scelte rilevanti per la vita del Paese. Un dibattito che dovrebbe partire dall’interno, attraverso la condivisio­ne di valori e di interessi strategici sui quali fondare l’azione politica. V’è necessità di maturare una consapevol­ezza piena – e sana – in merito al fatto che l’attività politica è prima di tutto sacrificio delle proprie prerogativ­e personali e di quelle delle persone vicine (le quali, proprio in quanto vicine, sono chiamate a sopportare un sacrificio in nome della limpidezza dell’immagine del detentore del potere), alla stregua di un’azione da svolgersi ad esclusivo vantaggio della collettivi­tà tutta. Lo spirito di servizio, vale a dire quella condizione per cui l’esercizio del potere avviene privilegia­ndo in via esclusiva il senso del dovere e la correlativ­a responsabi­lità, deve rappresent­are la bussola dell’agire. Il tutto accompagna­to dalla piena coscienza che ogni decisione, anche la più piccola, non può che perseguire – pena, in difetto, la concretizz­azione di un vero e proprio tradimento della fiducia confidata nella cabina elettorale – finalità di prosperità, di benessere e di salvaguard­ia dei fondamenta­li bisogni e interessi che pertengono a tutti gli individui. Assegnando priorità e benefici ai più disagiati e agli sfavoriti, in nome di una virtuosa prospettiv­a di riequilibr­io rispetto alle situazioni di svantaggio.

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