Spollon e le emozioni: «È un segnale che viene da dentro»
Pierpaolo Spollon con le emozioni ci lavora. Ma cos’è un’emozione? Come nasce? Come la riconosciamo? È ciò che l’attore padovano proverà a sviscerare domani al Teatro Duse con il monologo Quel che provo dir non so di cui è autore con Matteo Monforte con la regia di Mauro Lamanna (ore 21, info 051/231836).
Pierpaolo Spollon, cos’è un’emozione?
«È il segnale di qualcosa che dentro di noi sta cambiando, quindi una risposta a partire dal corpo ai cambiamenti. Senza le emozioni resteremmo tutti tali e quali».
Per un attore le emozioni sono pane quotidiano: cosa
significa condividerle con il pubblico?
«È vero, le emozioni sono alla base del mio mestiere. In questo caso però le emozioni sono le mie. Le metto in mezzo, a volte con vergogna, altre volte senza, e il gioco è sperare che la condivisione dei miei stati d’animo possa far proiettare gli altri a capire i loro. In sala sono sempre molto partecipi e ciò mi fa estremamente piacere. La soglia di attenzione sappiamo che oggi dura poco».
La sua ironia le è venuta in aiuto?
«L’ironia e la leggerezza sono parte di me. Trovo che l’ironia e soprattutto l’autoironia servano ad abbattere le barriere che ci poniamo culturalmente e socialmente. È come se ci si rilassasse tra amici. Nel monologo potevo dire quattro cose serie (di solito quattro cose serie in uno spettacolo si dicono) con la manina alzata come un professore, ma non mi avrebbe ascoltato nessuno».
Come hanno preso la notizia che il proprio figlio voleva fare l’attore un padre Commissario di Polizia e la madre Segretaria dell’Esercito?
«Malissimo! E hanno ragione: fare l’attore è votarsi al precariato. Se hai fortuna sei un precario di lusso, ma resti precario. Li capisco, ma fortunatamente ho due genitori intelligenti, hanno capito che il mio bene passava per questo mestiere e non mi hanno mai ostacolato».
È terminata la terza serie
della fiction di successo Rai Doc – nelle tue mani: che futuro avrà?
«Come ha detto Luca Argentero, è una serie strutturata in modo tale che potrebbe durare dieci anni. Poi, non è detto che Riccardo Bonvegna (il suo personaggio, ndr) ci sia sempre, ma continuerà».
Se diciamo Bologna cosa le viene in mente?
«Lucio Dalla. Subito. Per la vita che riconosco. Poi certa somiglianza con Padova: la vita giovane, l’università, il movimento. E il cibo. Non sono originale, ma che ci posso fare se sono un mangione».
” Dalla e la città Se penso a Bologna penso a Lucio, poi qui fra cibo e ateneo mi sento a casa