Le aziende bolognesi reggono l’urto dell’inflazione e assumono anche di più
Top 500: bilancio confortante per il tessuto imprenditoriale della città
Il tessuto imprenditoriale bolognese è tornato a raccontarsi nella tredicesima edizione di Top 500 e dal confronto nella gremita sala del cinema Modernissimo si delinea un quadro dell’economia locale tutto sommato confortante. Secondo quanto emerso dall’incontro organizzato da PwC Italia e dal Dipartimento di Scienze aziendali dell’Alma Mater, nel 2022 la crescita c’è stata ed è stata significativa, seppur inferiore alle aspettative generate dall’andamento del Pil nazionale, cresciuto ancora significativamente del 3,7% nonostante il rallentamento delle principali economie mondiali. A mettere maggiormente in difficoltà le imprese italiane è stata invece l’impennata del costo delle materie prime, in particolare del gas naturale, che si è rapidamente andata a ripercuotere su tutte le filiere produttive, provocando la violenta spinta inflazionistica, attestatasi su un inquietante +8.7%, con una crescita senza pari negli ultimi 38 anni. In un contesto macroeconomico di questa complessità, le Top 500 di Bologna e provincia non solo hanno tenuto botta, ma anche aumentato nella maggioranza dei casi la propria marginalità operativa. Dato testimoniato dal confronto con l’edizione del 2009, che registrava ricavi aggregati per 51 miliardi, mentre quella del 2022 ne ha contati 93, con un aumento dell’11,1%. Un valore che resta assolutamente positivo, ma parzialmente “dopato” da due evidenti anomalie, che pregiudicano il giudizio globale. La prima anomalia è rappresentata dalla Hera S.p.A., la più grande impresa bolognese, che ha visto incrementarsi il proprio fatturato di circa il 100%, passando dai 10,6 miliardi di euro di ricavi del 2021 ai 20 miliardi del 2022, una variazione fortemente influenzata dall’aumento dei prezzi di vendita del gas e dell’energia elettrica, senza la quale si noterebbe una seppur lieve riduzione dei dati aggregati corretti per l’inflazione. Di senso diametralmente opposto, per fortuna, l’altra anomalia, data dall’assenza temporanea dal campione di tre grandi imprese a causa del processo di approvazione dei bilanci, che da sole valgono all’incirca 2 miliardi di fatturato e quattromila dipendenti. Al netto dunque di questi fattori che inficiano l’analisi, si può arrivare a un dato reale del +3,4% per quanto riguarda la crescita dei ricavi aggregati, comunque da considerarsi soddisfacente. Il risultato più incoraggiante della tredicesima edizione della Top 500 riguarda ad ogni modo l’occupazione, con un +2,3% che conferma l’equilibrio ritrovato tra domanda e offerta di lavoro. Resta tendenzialmente invariata la redditività, che però dal punto di vista dei valori mediani di marginalità delle vendite (Ros) e redditività dell’atto investito (Roi), ha toccato vette mai raggiunte negli ultimi 13 anni. Risultati potenzialmente favoriti da un’elevata inflazione, ma anche testimoni di una forza contrattuale non scontata da parte delle imprese, in grado di adeguare prezzi e listini all’aumento dei costi dei fattori produttivi. L’aumento dei tassi di interesse è invece la zavorra della redditività del capitale proprio (Roe), attestatosi al 9,73%, in leggera flessione.
Il dato complessivo, insomma, dimostra come le più grandi imprese bolognesi siano riuscite a gestire un periodo non semplice, rinunciando a qualche punto percentuale di crescita, per mantenere una marginalità più elevata, scelta corretta e lungimirante in vista delle nuove sfide da affrontare, come la transizione “digital green” e l’utilizzo dell’AI, che tuttora rappresentano due importanti incognite sul futuro.