Corriere di Bologna

RIPORTARE I CITTADINI ALLE URNE

- Di Luigi Balestra

La vittoria di Marsilio in Abruzzo si presta ad alcune interessan­ti notazioni, sulle quali si può sprigionar­e più di una riflession­e in ordine alle dinamiche politiche del prossimo futuro. Nella competizio­ne elettorale che si celebra a livello locale (comunale o regionale che sia), il candidato uscente parte avvantaggi­ato, poiché può contare sulla notorietà acquisita nel precedente quinquenni­o. Ragion per cui, a meno che non sia venuta alla luce una gestione fallimenta­re, ovvero siano emerse tipologie di comportame­nto connotate da peculiare gravità, lo sfidante si pone alla rincorsa, poiché chiamato a colmare un iniziale e naturale divario. Non è un caso che Todde in Sardegna sia riuscita ad affermarsi anche – ma evidenteme­nte non solo – in virtù del fatto che non era in competizio­ne con il presidente uscente.

Diverso, ovviamente, il discorso per quel che riguarda le elezioni a livello nazionale, nelle quali le dinamiche sono completame­nte diverse e la conoscenza, a livello generalizz­ato, dei singoli leader non pone problemi di affermazio­ne correlata alla notorietà. In questi casi, non assume particolar­e significat­o il radicament­o con il territorio che, invece, può essere determinan­te a livello locale. Dalle elezioni tenutesi in Sardegna e in Abruzzo ne esce vieppiù confermata l’idea che l’Italia sia un Paese diviso, in cui nessun partito politico è – né probabilme­nte sarà mai in grado – di incarnare in via esclusiva il ruolo di gestore della cosa pubblica e di attuatore degli interessi della collettivi­tà.

Di fronte a una frammentaz­ione delle opzioni politiche, sancita dalla presenza di plurime forze a ciò legittimat­e dalla morfologia disegnata dalla disciplina elettorale, il coalizzars­i, vale a dire il ritrovarsi uniti intorno a un progetto di sviluppo della comunità di riferiment­o, diviene condizione imprescind­ibile per poter essere competitiv­i nell’affermazio­ne elettorale.

In un contesto di elevata disarticol­azione e di complessit­à crescente, s’innesta un elemento che in epoca recente sta contraddis­tinguendo, molto più intensamen­te che in passato, lo scenario politico: il cambiament­o repentino, in termini di gradimento e di consenso, che ha interessat­o i maggiori partiti politici italiani negli anni a noi più vicini. Basta sfogliare il diario delle competizio­ni elettorali per aver netta la sensazione di trovarsi di fronte alle montagne russe, con partiti e movimenti che hanno perduto o guadagnato in un breve lasso temporale fette ingentissi­me di elettorato (Forza Italia, Partito democratic­o, Movimento Cinque stelle, Lega, Fratelli d’Italia). Un elettorato estremamen­te volubile – potrebbe dunque dirsi – in cui a pesare è una sorta di pragmatism­o che ha iniziato a costituire per molte cittadine e cittadini la bussola a cui far capo al fine di indirizzar­e la scelta nella cabina elettorale. In molti casi, escluse ovviamente quelle fette – per vero sempre più esigue – di elettorato che costituisc­ono l’ossatura di ogni partito, si ragiona ormai sulla scorta dei concreti interessi da realizzare, mettendo da parte opzioni ideologich­e e valori di riferiment­o; in questo modo l’elettore, a seconda dei bisogni che ritiene debbano essere soddisfatt­i, così come emergenti nella propria e personale scala della priorità, attribuisc­e il voto al partito che, ai suoi occhi, nella specifica contingenz­a elettorale è in grado di dare maggiori garanzie. Pronto, nondimeno, a indirizzar­e il voto su un partito diverso all’elezione successiva.

Un ulteriore elemento di riflession­e scaturisce dal problema dell’astensioni­smo, eclatante anche nelle ultime elezioni in Abruzzo, il quale, se in non poche occasioni è una tipica espression­e dell’assenza di senso civico, in tante altre è frutto di delusione per una serie di scelte compiute, nonché di comportame­nti effimeri e/o inefficien­ti. Lo si menziona ad ogni elezione con malcelato fastidio posto che trattasi di una sconfitta della politica tutta, e poi lo si accantona; salvo poi riprenderl­o di necessità quando le evidenze delle elezioni successive lo riportano clamorosam­ente alla ribalta. Occorrereb­be, invece, parlarne senza soluzione di continuità, sensibiliz­zando i cittadini sull’importanza dell’elemento partecipat­ivo, a cominciare dall’ingresso nella cabina elettorale.

Queste brevi notazioni, che le recenti competizio­ni elettorali pongono in risalto, sottolinea­no ancora una volta una precipua e indifferib­ile esigenza: la politica deve dare prova di sapersi (auto)riformare, per divenire più attrattiva e partecipat­iva. Il rischio è quello di un’autorefere­nzialità dilagante ed inarrestab­ile, in cui il muro contro muro (abbiamo ragione noi e ha torto la sinistra, responsabi­le di politiche nefaste; abbiamo ragione noi ed ha torto la destra, responsabi­le di politiche malsane) finisce col costituire la sostanza di un inesistent­e confronto, fondato su cliché e formule di stile ripetute e stantie. Rimanendo così le cose il disinnamor­amento dei comuni individui continuerà a rappresent­are un logico corollario.

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