RIPORTARE I CITTADINI ALLE URNE
La vittoria di Marsilio in Abruzzo si presta ad alcune interessanti notazioni, sulle quali si può sprigionare più di una riflessione in ordine alle dinamiche politiche del prossimo futuro. Nella competizione elettorale che si celebra a livello locale (comunale o regionale che sia), il candidato uscente parte avvantaggiato, poiché può contare sulla notorietà acquisita nel precedente quinquennio. Ragion per cui, a meno che non sia venuta alla luce una gestione fallimentare, ovvero siano emerse tipologie di comportamento connotate da peculiare gravità, lo sfidante si pone alla rincorsa, poiché chiamato a colmare un iniziale e naturale divario. Non è un caso che Todde in Sardegna sia riuscita ad affermarsi anche – ma evidentemente non solo – in virtù del fatto che non era in competizione con il presidente uscente.
Diverso, ovviamente, il discorso per quel che riguarda le elezioni a livello nazionale, nelle quali le dinamiche sono completamente diverse e la conoscenza, a livello generalizzato, dei singoli leader non pone problemi di affermazione correlata alla notorietà. In questi casi, non assume particolare significato il radicamento con il territorio che, invece, può essere determinante a livello locale. Dalle elezioni tenutesi in Sardegna e in Abruzzo ne esce vieppiù confermata l’idea che l’Italia sia un Paese diviso, in cui nessun partito politico è – né probabilmente sarà mai in grado – di incarnare in via esclusiva il ruolo di gestore della cosa pubblica e di attuatore degli interessi della collettività.
Di fronte a una frammentazione delle opzioni politiche, sancita dalla presenza di plurime forze a ciò legittimate dalla morfologia disegnata dalla disciplina elettorale, il coalizzarsi, vale a dire il ritrovarsi uniti intorno a un progetto di sviluppo della comunità di riferimento, diviene condizione imprescindibile per poter essere competitivi nell’affermazione elettorale.
In un contesto di elevata disarticolazione e di complessità crescente, s’innesta un elemento che in epoca recente sta contraddistinguendo, molto più intensamente che in passato, lo scenario politico: il cambiamento repentino, in termini di gradimento e di consenso, che ha interessato i maggiori partiti politici italiani negli anni a noi più vicini. Basta sfogliare il diario delle competizioni elettorali per aver netta la sensazione di trovarsi di fronte alle montagne russe, con partiti e movimenti che hanno perduto o guadagnato in un breve lasso temporale fette ingentissime di elettorato (Forza Italia, Partito democratico, Movimento Cinque stelle, Lega, Fratelli d’Italia). Un elettorato estremamente volubile – potrebbe dunque dirsi – in cui a pesare è una sorta di pragmatismo che ha iniziato a costituire per molte cittadine e cittadini la bussola a cui far capo al fine di indirizzare la scelta nella cabina elettorale. In molti casi, escluse ovviamente quelle fette – per vero sempre più esigue – di elettorato che costituiscono l’ossatura di ogni partito, si ragiona ormai sulla scorta dei concreti interessi da realizzare, mettendo da parte opzioni ideologiche e valori di riferimento; in questo modo l’elettore, a seconda dei bisogni che ritiene debbano essere soddisfatti, così come emergenti nella propria e personale scala della priorità, attribuisce il voto al partito che, ai suoi occhi, nella specifica contingenza elettorale è in grado di dare maggiori garanzie. Pronto, nondimeno, a indirizzare il voto su un partito diverso all’elezione successiva.
Un ulteriore elemento di riflessione scaturisce dal problema dell’astensionismo, eclatante anche nelle ultime elezioni in Abruzzo, il quale, se in non poche occasioni è una tipica espressione dell’assenza di senso civico, in tante altre è frutto di delusione per una serie di scelte compiute, nonché di comportamenti effimeri e/o inefficienti. Lo si menziona ad ogni elezione con malcelato fastidio posto che trattasi di una sconfitta della politica tutta, e poi lo si accantona; salvo poi riprenderlo di necessità quando le evidenze delle elezioni successive lo riportano clamorosamente alla ribalta. Occorrerebbe, invece, parlarne senza soluzione di continuità, sensibilizzando i cittadini sull’importanza dell’elemento partecipativo, a cominciare dall’ingresso nella cabina elettorale.
Queste brevi notazioni, che le recenti competizioni elettorali pongono in risalto, sottolineano ancora una volta una precipua e indifferibile esigenza: la politica deve dare prova di sapersi (auto)riformare, per divenire più attrattiva e partecipativa. Il rischio è quello di un’autoreferenzialità dilagante ed inarrestabile, in cui il muro contro muro (abbiamo ragione noi e ha torto la sinistra, responsabile di politiche nefaste; abbiamo ragione noi ed ha torto la destra, responsabile di politiche malsane) finisce col costituire la sostanza di un inesistente confronto, fondato su cliché e formule di stile ripetute e stantie. Rimanendo così le cose il disinnamoramento dei comuni individui continuerà a rappresentare un logico corollario.