«Merito di Eco se oggi il fumetto è una cosa seria»
Milo Manara in dialogo con Igort sul graphic novel
Èdedicato a Umberto Eco, lettore, collezionista e divoratore onnivoro di fumetti, il convegno «Tra visibile e leggibile. Dal fumetto alla graphic novel» che si chiude oggi a Bologna. Promosso dal Centro Internazionale di Studi Umanistici «Umberto Eco», questa mattina dalle 9,30 nella Sala Rossa di via Marsala 26, con anche un’introduzione al fondo Enrico Gregotti, affidato dal collezionista proprio a Eco e conservato alla Biblioteca Universitaria di via Zamboni 33-35. Nella cui Aula Magna, nel pomeriggio alle 16, è previsto un dialogo, coordinato dal semiologo Daniele Barbieri, tra due grandi maestri del fumetto come Igort e Milo Manara.
Manara, lei ha conosciuto Eco?
«Non posso certo dire di essere stato suo amico, ma l’ho incrociato. Ricordo che una volta sua figlia Carlotta mi aveva fatto sapere, attraverso la direttrice di “Linus” di allora, Fulvia Serra, che avrebbe gradito una mia striscia di una storia di Giuseppe Bergpoi man. Gliel’ho regalata con piacere ma stupidamente non avevo chiesto l’età, che doveva essere molto giovane. Così quando l’ho incontrato, Eco mi ha bonariamente rimproverato».
Invece come è nato il suo progetto legato a «Il nome della rosa»?
«Non avrei mai osato pensare di farne un fumetto, ma
mi hanno convinto La nave di Teseo ed Elisabetta Sgarbi, Igort e la sua casa editrice Oblomov che fa parte del gruppo. Anche Stefano Eco mi ha incoraggiato, dicendomi che il padre apprezzava molto il mio lavoro».
Come si è approcciato a un’opera così famosa?
«Mi sto ancora rendendo conto, perché sto lavorando alla seconda parte, delle difficoltà. L’unico modo per accostarmi era farlo con estrema umiltà, con un rispetto assoluto per il libro. Anche se ho dovuto tagliare il 90% delle parole, cercando però di salvare l’essenziale. Un po’ come distruggere una cattedrale facendola però restare in piedi con la sua struttura portante».
Come ha interpretato il romanzo?
«Sono partito da Eco e non dal film di Annaud perché non volevo fare un doppione. Annaud poi poteva confrontarsi con Eco, io purtroppo no. Il mio Eco è stato il libro, che non si discute. L’ho preso alla lettera. Tanto che per un personaggio come Guglielmo da Baskerville che secondo Eco, e anche per me, non è il vero protagonista del libro ma solo quello apparente - quello vero è il giovane Adso - mi sono rifatto alla descrizione di Eco, che aveva fatto anche dei disegni. Annaud aveva scelto Sean Connery, io invece gli ho dato un volto altrettanto potente, quello di Marlon Brando».
Il fumetto in Italia oggi è finalmente una cosa seria?
«Sì, per merito di intellettuali come Federico Fellini, Oreste Del Buono, Faeti, Eco, che forse è quello che si è speso di più. La percezione del fumetto è cambiata anche in Italia, fumetti finalisti al Premio Strega erano impensabili anni fa. Uno dei miei rammarichi è aver conosciuto autori giganteschi come Dino Battaglia o Hugo Pratt costretti a pubblicare su giornali per ragazzi. Ora il fumetto, anche se il termine risulta un po’ infantile e si preferisce chiamarlo graphic novel, non è più considerato un sottogenere ma una forma narrativa che può contenere tutto e come tale va festeggiato».