Bucci, Sgrosso e l’«avvincente» Ibsen: «Tante riflessioni»
ncente
» è l ’a ggettivo che ricorre più spesso. C’è un entusiasmo contagioso nel tono di Elena Bucci e Marco Sgrosso quando parlano di La casa dei Rosmer (Rosmersholm) da Henrik Ibsen, il nuovo progetto condiviso. Loro è l’elaborazione drammaturgia, la regia è di Bucci con la collaborazione di Sgrosso, insieme sul palco affiancati da Emanuele Carucci Viterbi, Francesco Pennacchia, Valerio Pietrovita. Fresco di debutto al Teatro Metastasio di Prato, produttore esecutivo (con Centro Teatrale Bresciano, Ert e Le Belle Bandiere), approda ora in due tappe in regione dentro il circuito Ater.
Questa sera lo spettacolo è al Teatro Comunale di Russi (ore 20.45), domani all’Auditorium di
Mirandola (ore 21, info ater.emr.it). Dopo Hedda Gabler del 2008, i fondatori delle Belle Bandiere ci conducono ora nelle austere stanze di una famiglia potente. Un passato pesante da cui il discendente Johannes Rosmer (Sgrosso), ex pastore, vedovo, vuole affrancarsi, forse indottrinato da Rebecca West (Bucci), la donna rimasta nella casa dopo il suicidio della moglie. «Ibsen – dice Bucci – è molto più avvincente di quanto non venga visto. Ha grandi capacità di inventare trame di estrema modernità».
È singolare che questo dramma sia nei loro pensieri da tempo ma lo abbiano realizzato solo ora. «Temevamo fosse sorpassato, ma è tornato clamorosamente alla ribalta. C’è il tema della lotta tra conservatori e innovatori. A quel tempo, fine ‘800, si parlava già di ideali di libertà, progresso, fratellanza, relazioni uomo-donna, temi deflagrati con la Prima Guerra Mondiale e che si riflettono sulla storia di questa famiglia di individui integerrimi ma capaci di gettare ombre sul destino degli eredi».
Riflette Sgrosso: «Ibsen è affascinante per la capacità di aprire un ve nt a gl i o di r i f l e s s i oni s u molti punti di vista. Da una parte c’è la politica con la classe borghese sempre più importante e le fratture sociali, ma d’altro canto è forte la componente umana: l’interrogativo sull’etica, la morale, quell’innocenza che non ha pesi s ul l a cosci e nza » . Rosmer, r i - prende Bucci, «è individuo di grande mitezza, spessore morale, definito come un tipo influenzabile e Rebecca, donna senza scrupoli, cambia dall’incontro con lui. Due cavalli bianchi sono lo spettro dei morti che condizionano i vivi. Lo spettacolo vive anche di una tessitura sonora che fa sì che i personaggi sembrino sempre presenti: un Ibsen musical». E alla fine, affonda Sgrosso, «i cattivi sono un po’ tutti. Questo testo è anche una denuncia sottilissima della menzogna del vivere». Un testo ridotto soprattutto nell’ultimo dei quattro atti, «ma tutto era già stato delineato», affermano. E per il futuro si profila l’idea di una trilogia.