Canella e l’ode alla libertà via etere
Il 43enne giornalista bolognese Alessandro Canella ha messo piede per la prima volta in uno studio radiofonico nel 2000, riuscendo poi a trasformare la grande passione di un adolescente in un lavoro. Oggi è il direttore di Radio Città Fujiko, storica emittente comunitaria bolognese nata nel 1976. Un pezzo di sinistra sopravvissuto negli anni a divisioni e unificazioni, grazie a un collaudato mix di visione politica e critica e nuova linfa assicurata da giovani che ancora oggi si avvicendano negli studi di via Zanardi. Nel centenario della prima trasmissione radiofonica in Italia, in epoca fascista, esce il libro Onde ribelli. La radio come trasformazione” (Armillaria), che Canella presenta oggi alle 19,30 a Camere d’aria, in via Guelfa 40/4, e il 21 aprile sempre alle 19,30 a Porta Pratello, in via Pietralata 58. Nelle oltre 200 pagine tante le esperienze esemplari, anche internazionali, di applicazione sociale della radio, dagli istituti di salute mentale ai ghetti dei braccianti, dal femminismo alla mafia. Passando da esperienze come la genovese RadiogrAMma, la fiorentina Radio Wombat, la bolognese Radio Spore, la bresciana Radio Onda d’Urto, la torinese Radio Blackout, la romana Radio Onda Rossa. Il racconto di un mezzo capace di resistere con insospettabile vitalità all’avvento di tv, web, social e digitale e di mettersi sempre al servizio di persone oppresse e cause che hanno bisogno di voce. La radio, precisa Canella, non
e` una brigata partigiana armata né un partito rivoluzionario che punta alla redistribuzione della ricchezza: «Tuttavia, molto più di altri media, possiede caratteristiche che la rendono uno strumento efficace di emancipazione e di intervento sociale». Migranti, senza dimora, persone con problemi di salute mentale, con disabilità o detenute, nella radio trovano una dimensione «per cominciare a ricostruire una rete di relazioni, ritrovare fiducia in sé e l’autostima necessaria a uscire dal ruolo di vittima - che nella società neoliberista assomiglia sempre più a quello di colpevole - e a immaginare il proprio riscatto». Uno studio radiofonico può essere infatti «un ambiente protetto, insonorizzato dalle aggressioni esterne ma al tempo stesso non isolato. Può essere l’epicentro di una comunità che non è lì per giudicare, ma per lasciare a ciascuno e ciascuna il modo e soprattutto il tempo di esprimersi».