Il giorno della rabbia dei lavoratori «Condizioni pessime, abbiamo paura»
Il corteo insieme ai sindaci di 41 Comuni. Le denunce: «Assunzioni in calo, turni stressanti»
Non si può parlare ogni volta di tragica fatalità. Non se ne può proprio più. Quella delle morti sul lavoro è un’emergenza nazionale.
Stefano Bonaccini (presidente Regione)
La vicinanza, i lavoratori, la vogliono da vivi. Le imprese troppo facilmente scaricano la responsabilità sulle vittime.
Luigi Giove (segretario nazionale Cgil)
È stato il giorno della rabbia per quanto accaduto martedì nella centrale idroelettrica sul bacino di Suviana, ma anche quello in cui sono stati tanti i lavoratori che hanno trovato il coraggio di metterci la faccia e raccontare che anche loro, ogni giorno, hanno paura. Dipendenti edili, donne delle pulizie, operatrici socio sanitarie (le cosiddette oss), gli addetti della logistica o alla manutenzione stradale, e, naturalmente, i dipendenti Enel. Il motivo è sempre lo stesso: il personale è troppo poco o è svalorizzato dagli appalti. Ad aprire il corteo, che si è mosso da piazza XX settembre verso le 9 di ieri mattina e che è stato organizzato in occasione dello sciopero generale nazionale già proclamato da Cgil e Uil (raddoppiato da quattro a otto ore dopo la strage nel cantiere di Bargi) c’era lo striscione con la scritta «Adesso basta». In prima fila, con il segretario della Cgil di Bologna Michele Bulgarelli e quello regionale della Uil Marcello Borghetti e i segretari nazionali confederali Ivana Veronese (Uil) e Luigi Giove Cgil) c’erano il sindaco di Bologna Matteo Lepore, quello di Camugnano Marco Masinara, il presidente della Regione Stefano Bonaccini e l’assessore al lavoro Vincenzo Colla. Subito dietro hanno sfilato venti sindaci del territorio metropolitano bolognese tra cui Marco Panieri (Imola), Isabella Conti (San Lazzaro), Massimo Bosso (Casalecchio) e Beatrice Poli (Casalfiumanese) e i rappresentanti di 41 Comuni su 54.
È stato quindi dato spazio ai lavoratori, i veri pilastri di quasi tutte le aziende del territorio. I volti erano seri ieri mattina, ma come sempre si è provato a sdrammatizzare. Per esempio cantando, come han fatto le donne del coro delle mondine di Bentivoglio che hanno intonato la storica canzone dei lavoratori «Noi vogliamo l’uguaglianza». Gianmarco Cimatti è un operaio che lavora per E-Distribuzione; è venuto al corteo di Bologna per dire «basta ai morti sul lavoro» da Forlì. «Stanno calando gli investimenti e le assunzioni — denuncia —. Il personale è sempre più stressato dai turni, a cui si aggiunge la reperibilità, e perché aumentano le esternalizzazioni e diminuisce la professionalità. Anche per questo capita quel che è successo a Bargi». Cimatti ha 35 anni, da quindici si occupa per la società del gruppo Enel di linee, cabine e contatori dell’energia elettrica: «Sono sempre a contatto con la corrente». Un’attività che può essere pericolosa anche per chi è altamente specializzato come lui. «Figuriamoci per chi non ha ricevuto un’adeguata formazione». Il collega Claudio Giuliani porta un fiocco nero all’orecchio: «Per tutti coloro che si fanno male e ci rimettono la vita», spiega. «Quanti siamo? Molti meno rispetto a dieci anni fa». A sfilare c’erano anche due dipendenti diretti Enel Green Power, ma non si sono fatti riconoscere. L’azienda avrebbe imposto loro di non rilasciare dichiarazioni.
«Anche noi addetti dell’edilizia non ci sentiamo sicuri — ammette Francesco Miraglino, delegato FenealUil —: le aziende non forniscono sempre i dispositivi di protezione individuale, c’è una pioggia di appalti e subappalti e capita che i contratti applicati non siano adeguati, perché appartenenti ad altre categorie, multiservizi o metalmeccanica, che non hanno la competenza necessaria a lavorare nei cantieri».
Irene Toledano, invece, è una oss di una cooperativa sociale di Ravenna: «Il nostro è un lavoro di cura, ma anche di carico. Solleviamo gli anziani per nutrirli, spostarli e lavarli. È faticoso, usurante e di grande responsabilità. Ho 50 anni e, anche se amo molto quel che faccio, mi spezzo la schiena per rispettare i tempi richiesti. Siamo troppo poche o affiancate da chi non ha la sufficiente preparazione. Diventa un problema di sicurezza».
Maria Sderlenga, 53 anni, svolge infine lavori di pulizia per un’altra grande cooperativa che fa riordino e igienizzazione nelle strutture scolastiche e sanitarie: «Mi sento sicura quando lavoro? “Ni”. Copro più ore di quelle previste dal contratto e ho a che fare con sporcizia e materiale biologico. Una struttura pulita significa assenza di infezioni. Durante il Covid abbiamo rischiato grosso, ma poi si sono dimenticati di noi. Siamo solo delle donne delle pulizie».