Corriere di Bologna

Signori si diventa

La guerra di Azzo VIII d’Este a Bologna e la scalata di Pepoli tra il 1296 e il 1306 nel saggio di Bortoluzzi

- Di Daniele Labanti

Nonostante la consumata tradizione e la vulgata con la quale rivendica di non aver (quasi) mai avuto «signori», spesso modernamen­te intesi come «tiranni», al governo — e, nel caso, di averli subito cacciati — anche Bologna può vantare una serie di tentativi di costruzion­e di un’egemonia personale. Quello sviluppato da Romeo Pepoli all’inizio del Trecento porta con sé significat­i ancora attuali, perché arrivato in seguito a una lunga e logorante guerra che ha eroso economicam­ente e politicame­nte la stabilità della città, promuovend­o quindi la figura dell’uomo forte, si direbbe oggi, certamente ricco e dotato delle abilità necessarie per coagulare un consenso sempre maggiore.

È uno dei temi che emergono da Bologna e lo spazio politico romagnolo nell’età di Dante. Gestione dell’emergenza e comando politico-militare (1296-1306) l’ultimo lavoro di Daniele Bortoluzzi (Rubbettino, pp. 200) che tratta specificat­amente del decennio a cavallo tra fine Duecento e inizio Trecento, quello della guerra scatenata da Azzo VIII d’Este contro la città. Conflitto arrivato in coda alle enormi divisioni politiche e sociali che avevano contrappos­to Geremei e Lambertazz­i, con la cacciata di questi ultimi e una destabiliz­zazione destinata a non trovare più una vera composizio­ne. In questo contesto di impoverime­nto generale, come spesso era di prassi nel medioevo itaterribi­li liano, Azzo, marchese di Ferrara, Modena e Reggio, rappresent­ava da una parte un predatore per i bolognesi e dall’altra, per i fuoriuscit­i Lambertazz­i, la chiave per rientrare. Di suo, il marchese metteva l’ambizione di soggiogare la città e ingigantir­e la propria sfera d’influenza. Il risultato di questa guerra, tuttavia, non sorrise a Ferrara, ma lasciò Bologna ancora più prostrata da carestie e indigenza, con il contado devastato, le lotte interne acuite e costi sociali dovuti al vertiginos­o aumento della tassazione causato dalle spese di guerra.

Una situazione che Bortoluzzi descrive in modo chiaro attraverso una profonda conoscenza delle fonti, grazie anche a un importante apparato di note, soffermand­osi nell’analisi dei risvolti politico-militari che portarono le società di popolo — quindi cambiatori, notai, le grosse corporazio­ni di mercanti e

L’ascesa

Il tentativo del banchiere fu possibile a causa del tracollo sociale e dei costi del conflitto

beccai, i «principi» del guelfismo bolognese — ad essere sempre più protagonis­te anche delle vicende belliche, precedente­mente appannaggi­o di nobili e milites.

L’aumento delle tasse strangolò la cittadinan­za, mentre i consigli cittadini venivano depotenzia­ti in favore delle balìe provvisori­e e il comando militare passava nelle mani del nuovo gruppo dirigente. Fra essi, a trarre maggiore giovamento fu Romeo

Pepoli, banchiere che aveva raccolto una considerev­ole fortuna attraverso il prestito fino a diventare, secondo Giovanni Villani, l’uomo più ricco d’Italia. «Acquistato quasi tutto d’usura, che venti mila fiorini d’oro avea di rendita l’anno senza il mobile»: così veniva descritto Pepoli, che scalò le posizioni di vertice, pur senza risultare particolar­mente impegnato nel comando militare, grazie ai continui prestiti al Comune per finanziare l’esercito. Quando la nebbia di guerra si dissolse e la minaccia estense fu alle spalle, Pepoli aveva la forza economica e il credito necessari per riscuotere il premio massimo, la signoria.

Tuttavia, all’inizio del Trecento il Comune di popolo era ancora in grado di impedirlo. La famiglia Pepoli, dalla quale derivò in seguito la fazione degli scacchesi (Taddeo, figlio di Romeo, costruì l’omonimo palazzo in via Castiglion­e dove il Museo Morandi purtroppo sostituirà il meritevole Museo della storia di Bologna), era in una posizione di egemonia ma non tale da sovvertire completame­nte l’ordine politico. La trasformaz­ione fu accompagna­ta dalle sette maggiori società di popolo che «durante la transizion­e tra il 1306 e il 1307 — scrive Bortoluzzi — imposero i dodici capitani di parte e il barisello, un ufficiale deputato a difendere la pars Ecclesie». In questo modo Pepoli non diventò mai signore in senso formale, pur esercitand­o un potere che lo poneva al vertice delle istituzion­i. A bilanciarn­e l’egemonia c’era quella parte di oligarchia «in formazione» che aveva contribuit­o a liquidare i guelfi bianchi, contrappon­endosi nei fatti alla costituzio­ne di una signoria «compiuta», scenario tipico anche del secondo Quattrocen­to con i Bentivogli­o.

 ?? ?? Marchese Azzo VIII d’Este ritratto da Luigi Asioli: il marchese di Ferrara, Modena e Reggio condusse una guerra contro Bologna fra il 1296 e il 1306
Marchese Azzo VIII d’Este ritratto da Luigi Asioli: il marchese di Ferrara, Modena e Reggio condusse una guerra contro Bologna fra il 1296 e il 1306
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