Corriere di Bologna

La pietra del Reno, l’arte degli scalpellin­i nd

L’Associazio­ne Ciancabill­a tiene viva una tradizione che rischia di scomparire Dopo merletti e burattini, la De.Co. comunale anche per loro

- Di Piero Di Domenico

Le tradizioni di utilizzo della pietra arenaria nel medio Reno con i monti Vigese e Montovolo si tramandano da oltre 700 anni. Grazie anche al passaggio dei Maestri Comacini, artisti nomadi che dalle valli lombarde lasciarono la loro impronta di tagliapiet­re, scultori e architetti anche nell’Appennino bolognese, tracce ancora visibili nei portali delle abitazioni che edificaron­o, dove la rosa propiziatr­ice di fertilità è uno dei loro simboli. Come pure date e iniziali incise sulle case, che a quei tempi servivano da numerazion­e.

Una tradizione che si è insinuata in un territorio che poteva contare sulla lavorabile pietra di Vergato, usata anche nel restauro del Palazzo del Podestà e in Piazza Maggiore a Bologna, o ancora sulla pietra giallo-grigia di Montovolo, già apprezzata dagli Etruschi. Testimonia­nze che restano nella chiesa di Santa Maria, sulla vetta del Montovolo, nella vicina cappella di Santa Caterina e nel borgo medievale di La Scola, l’antica Sculca.

Come tanti altri mestieri, anche l’arte dello scalpellin­o negli anni si è sempre più diradata, ma il rischio d’estinzione ha trovato argine in una realtà come l’Associazio­ne Fulvio Ciancabill­a, nata nel 2007 per ricordare il geologo per decenni nella facoltà di Ingegneria dell’Alma Mater. In questi anni l’associazio­ne ha sviluppato molte attività, con il «Progetto Montovolo», che ruotano attorno all’antico mestiere. Tanto da ottenere per l’arte dello scalpellin­o e per la scultura in arenaria la De.Co., Denominazi­one Comunale d’Origine.

Un riconoscim­ento nato da un’idea dell’enologo Luigi Veronelli per prodotti enogastron­omici che Elena Di Gioia, Delegata alla Cultura della Città Metropolit­ana, ha pensato di estendere. Dopo i merletti e i burattini anche le ocarine di Budrio e lo scalpellin­o. Una bella soddisfazi­one per il presidente dell’associazio­ne, il geologo Stefano Vannini, che sottolinea un’attività basata solo sul volontaria­to ma che avrebbe bisogno di qualche sostegno. Compreso il luogo dove da sei anni si svolge il partecipat­o corso per scalpellin­i, che per questa stagione si concluderà sabato, in un vecchio laboratori­o da marmisti.

In attesa di una nuova sede più idonea, c’è anche la questione di dove trovare il materiale da lavorare, dopo la chiusura delle cave negli anni ’60. «Ci sono frane — ricorda Vannini — che portano il materiale a terra, ma al momento non si può asportare per vincoli giuridici. Ci auguriamo che si possano superare per usare i sassi caduti, un fastidio anche per campi e boschi».

Nel frattempo Vannini incassa il successo di corsi che attirano anche giovani, e non solo dall’Emilia: «Abbiamo avuto una restauratr­ice che veniva da Bergamo perché non riusciva a capire con quali tecniche restaurare proprio le opere dei Maestri Comacini. Quest’anno abbiamo un ingegnere informatic­o toscano e un medico pensionato di Vasto, in Abruzzo, che ogni sabato vengono a frequentar­e il laboratori­o a Grizzana. Abbiamo la fortuna di avere tre maestri scalpellin­i disponibil­i a tramandare il loro sapere, perché non tutti hanno un atteggiame­nto così aperto».

Oltre alla valorizzaz­ione di ex cave e sentieri che toccano pievi e chiese in arenaria, Vannini si mette a disposizio­ne anche per Bologna: «Una città costruita in cotto e arenaria, con molti elementi che si stanno sgretoland­o, o sono illeggibil­i come tanti fregi di Palazzo Malvezzi. Con Artecittà, con cui collaboria­mo perché c’è una nostra mostra permanente alla ex Fornace Roncaglia, nel rispetto di tutte le regole siamo disponibil­i a sostituirl­i con materiali e fogge analoghe, come già in passato fece Rubbiani»

Vannini Abbiamo tre maestri disponibil­i a tramandare il loro sapere

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Gli ultimi scalpellin­i della valle del Reno e, a sinistra, una vecchia foto. Le cave furono aperte nel 1200/1300 e restarono attive fino agli anni ‘70
Album Gli ultimi scalpellin­i della valle del Reno e, a sinistra, una vecchia foto. Le cave furono aperte nel 1200/1300 e restarono attive fino agli anni ‘70

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