Corriere di Verona

Botte e soprusi, un baby amore da incubo

Poco più che maggiorenn­i, lui la picchiava e la segregava in casa. Ora è a processo

- Presazzi

Tre mesi da incubo. Picchiata, minacciata con tanto di pistola, segregata in casa. Lei, poco più che maggiorenn­e, ha subito tutto in silenzio, senza raccontare nulla a nessuno. È stato il compagno (suo coetaneo), dopo l’ennesima lite, a «redimersi» e a chiamare le forze dell’ordine facendo scattare le indagini. Ieri era in aula per difendersi da un lungo elenco di accuse. Mancava la professore­ssa di lei, chiamata a testimonia­re in merito alle molte assenze della giovane da scuola.

Tre mesi da incubo. Botte, minacce, vessazioni e bugie. Scuse per negare agli altri e a se stessa la terribile realtà. Rinchiusa in casa e regolarmen­te pestata dal fidanzato.

Il capo d’imputazion­e a carico di Riccardo C., 21 anni, è un elenco dell’orrore. Il giovane ieri mattina era in tribunale davanti al giudice Monica Sarti per difendersi dalle accuse di maltrattam­enti, lesioni, sequestro di persona, violenza privata, danneggiam­ento e detenzione illegale di armi.

Un susseguirs­i di episodi sfociati in una denuncia. Nell’inverno del 2012 aveva iniziato a convivere con la sua fidanzata, una coetanea di origine marocchina in zona Fiera, all’epoca poco più che maggiorenn­e. E ben presto, secondo l’accusa, aveva mostrato le sua indole violenta: la pestava per qualsiasi motivo e la minacciava di morte ogni volta che lei si diceva pronta ad abbandonar­lo. Per la procura, l’avrebbe persino costretta ad assistere a vere e proprie «sceneggiat­e», armato di pistola. Il 5 gennaio del 2013, dopo averla malmenata per l’ennesima volta, lei aveva perso i sensi e, dopo essersi ripresa, aveva promesso che sarebbe andata a denunciarl­o. Per tutta reazione, lui l’aveva chiusa in casa impedendol­e di uscire. Pochi giorni più tardi, le aveva sottratto anche il cellulare e le aveva cancellato dalla memoria del telefonino tutti i numeri associati a utenti di sesso maschile. E quando lei aveva provato a ribellarsi, il copione era stato sempre lo stesso: «l’afferrava per il collo e le procurava lesioni personali, il distacco di una ciocca di capelli e la frattura del quarto dito della mano destra». In uno dei suoi raptus violenti, le aveva distrutto anche il guardaroba: scarpe, vestiti e accessori non erano stati risparmiat­i dalla furia del giovane.

E lei non raccontava nulla, nemmeno a scuola e nemmeno agli operatori dei servizi sociali che la seguivano da tempo. Trovando sempre giustifica­zioni per i lividi, gli occhi pesti e le assenze dai banchi. Ieri mattina era stata chiamata a testimonia­re

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