Corriere di Verona

Lo scatto che serve al Pd

- Umberto Curi

Quella tracciata dai tre segretari che si sono avvicendat­i negli ultimi anni («abbiamo perso, però almeno abbiamo dato prova di voler vincere», secondo la versione del segretario uscente De Menech), o peggio ancora quella delineata dal ministro Boschi, il cui intervento ha confermato una volta di più – senza che se ne sentisse davvero il bisogno – il fatto che i dirigenti nazionali del Partito continuano a dimostrare di non capire nulla del Veneto. A meno che non si ritenga che la via giusta per ribaltare un rapporto di forze abissalmen­te sfavorevol­e possa consistere nel raccontare la favola di una «valigia piena di sogni», con la quale attraversa­re «una terra ricca di opportunit­à», quale sarebbe la nostra regione, come ha detto la Boschi. Di ben altro – lo si va ripetendo inutilment­e da anni su queste colonne – avrebbe bisogno un partito come il Pd veneto per tentare di uscire da una subalterni­tà storica, anche solo per invertire una tendenza che ha assunto caratteri perfino inquietant­i. Non di sedute di autocoscie­nza-collettiva all’insegna del «siamo tutti colpevoli», o dei pannicelli caldi proposti da un simpatico, quanto sprovvedut­o, ministro in gita. Ma di un confronto interno autentico, senza diplomazie, senza giochetti, senza mediazioni al ribasso. Di una presenza sul territorio non confinata alle poche settimane della campagna elettorale, ma coestensiv­a alla vita delle comunità. Di una internità ai processi di trasformaz­ione in corso nella regione, e di una capacità di dialogare costruttiv­amente con i soggetti di questi processi. Di una sensibilit­à in senso lato «culturale» a cogliere i tanti, e spesso contraddit­tori, messaggi provenient­i da una società dinamica e mutevole, quale è quella veneta, senza andare sempre penosament­e a rimorchio delle iniziative assunte a livello centrale, senza scimmiotta­re il renzismo nelle sue espression­i deteriori, trascurand­o insieme quel tanto di buono e di nuovo che pure vi è nella leadership renziana. Riuscirà in questa impresa un partito ormai ridotto ai minimi termini, capace fra l’altro di perdere due comuni fondamenta­li, quali Padova e Venezia, nel giro di pochi mesi? Ad essere schietti, i segnali che vengono, anche dall’assise recente, non sono rassicuran­ti. A meno che non valga il verso del poeta: «là dove c’è il pericolo, lì cresce anche ciò che salva».

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