Lo scatto che serve al Pd
Quella tracciata dai tre segretari che si sono avvicendati negli ultimi anni («abbiamo perso, però almeno abbiamo dato prova di voler vincere», secondo la versione del segretario uscente De Menech), o peggio ancora quella delineata dal ministro Boschi, il cui intervento ha confermato una volta di più – senza che se ne sentisse davvero il bisogno – il fatto che i dirigenti nazionali del Partito continuano a dimostrare di non capire nulla del Veneto. A meno che non si ritenga che la via giusta per ribaltare un rapporto di forze abissalmente sfavorevole possa consistere nel raccontare la favola di una «valigia piena di sogni», con la quale attraversare «una terra ricca di opportunità», quale sarebbe la nostra regione, come ha detto la Boschi. Di ben altro – lo si va ripetendo inutilmente da anni su queste colonne – avrebbe bisogno un partito come il Pd veneto per tentare di uscire da una subalternità storica, anche solo per invertire una tendenza che ha assunto caratteri perfino inquietanti. Non di sedute di autocoscienza-collettiva all’insegna del «siamo tutti colpevoli», o dei pannicelli caldi proposti da un simpatico, quanto sprovveduto, ministro in gita. Ma di un confronto interno autentico, senza diplomazie, senza giochetti, senza mediazioni al ribasso. Di una presenza sul territorio non confinata alle poche settimane della campagna elettorale, ma coestensiva alla vita delle comunità. Di una internità ai processi di trasformazione in corso nella regione, e di una capacità di dialogare costruttivamente con i soggetti di questi processi. Di una sensibilità in senso lato «culturale» a cogliere i tanti, e spesso contraddittori, messaggi provenienti da una società dinamica e mutevole, quale è quella veneta, senza andare sempre penosamente a rimorchio delle iniziative assunte a livello centrale, senza scimmiottare il renzismo nelle sue espressioni deteriori, trascurando insieme quel tanto di buono e di nuovo che pure vi è nella leadership renziana. Riuscirà in questa impresa un partito ormai ridotto ai minimi termini, capace fra l’altro di perdere due comuni fondamentali, quali Padova e Venezia, nel giro di pochi mesi? Ad essere schietti, i segnali che vengono, anche dall’assise recente, non sono rassicuranti. A meno che non valga il verso del poeta: «là dove c’è il pericolo, lì cresce anche ciò che salva».