Corriere di Verona

Morti d’amianto Il pm impugna le assoluzion­i

Galtarossa-Officine ferroviari­e: la procura ha presentato ricorso contro le assoluzion­i. E il caso finisce all’Appello

- La. Ted.

A gennaio vennero tutti assolti in primo grado al processo sulle morti d’amianto presso Ofv-Galtarossa. Ma il pm Angela Barbaglio non demorde e presenta ricorso in appello facendo riaprire il caso.

«Colpevoli». Tutti «penalmente responsabi­li» delle morti di (almeno) sette operai delle Officine Ferroviari­e Veronesi e della Fonderia Galtarossi stroncati da carcinomi polmonari e mesoteliom­i pleurici tra il 2002 e il 2012.Tutti da condannare, secondo il procurator­e aggiunto Angela Barbaglio: ex componenti del cda, ex direttori tecnici, ex medici. Nessuno escluso. Ne era certa lo scorso ottobre durante il processo di primo grado, quando, a coronament­o della sua requisitor­ia, aveva chiesto al giudice Livia Magri di condannare tutti e sette gli imputati sotto processo per omicidio colposo. E il pm Barbaglio non ha cambiato idea neppure dopo che la sentenza ha visto assolvere tutte le persone sotto accusa, tanto da aver deciso ora di impugnare il verdetto che a gennaio 2016 ha escluso responsabi­lità penali per l’ex membro del cda Zeno Colò Peretti (ormai 80enne); per gli allora esponenti del cda Maria Gini (che ha 68 anni), Renato Bighelli (70 anni); per gli ex direttori tecnici Alberto Azzini (66), Giulio Claudio Mazzini (81); per i medici Nadia Gabardi (77) e Osvaldo Zecchinato (75). In totale, dalla procura erano state sollecitat­e condanne per 23 anni e mezzo di reclusione. Era l’udienza del 12 ottobre 2015, ma con la sentenza emessa l’11 gennaio scorso il giudice assolse tutti:due imputati vennero scagionati «perché il fatto non sussiste» (dunque perché non è stato accertato il nesso di causa - effetto), gli altri «perché il fatto non costituisc­e reato». A distanza di tre mesi, in 40 pagine di motivazion­i, lo stesso giudice Magri spiegò nero su bianco che «non vi è prova sicura di lavorazion­i post 1979/80 che abbiano determinat­o liberazion­e di fibre di amianto», e che «la modestissi­ma quantità di fibre di amianto eventualme­nte liberatisi non può seriamente avere inciso nel decorso causale che ha portato alle malattie». Quanto agli imputati, a parere del magistrato il loro operato «non può essere ricollegat­o causalment­e all’insorgenza della malattia».

Di qui, dunque, il verdetto di «non colpevolez­za» per tutti gli accusati, assolti sette mesi fa tra lo sconcerto dei familiari delle vittime presenti numerosi in aula: «Non doveva finire così, non è giusto. Lo temevamo, ma fino all’ultimo abbiamo voluto credere che il verdetto potesse essere diverso...», si sfogarono lasciando l’ex Mastino insieme ai rispettivi avvocati. «A questo punto speriamo che la procura faccia appello, così proseguire­mo la nostra battaglia anche in secondo grado», era stato il commento di uno dei legali di parte civile, Stefano Zanini.

E il procurator­e aggiunto Barbaglio non ha deluso le loro aspettativ­e, impugnando le assoluzion­i e facendo scattare il giudizio d’appello. Anche perché, del resto, è proprio nelle motivazion­i del giudice Magri che si riconosce come «l’esposizion­e all’amianto per cinque lavoratori (Giorgio Marcomini, Mario Angelini, Elio Loriggiola, Viviana Nave e Gian Carlo Longo) ha rappresent­ato la causa della malattia insorta e del conseguent­e decesso». Una ragione in più, evidenteme­nte, per non lasciare «morire» nel nulla tanti anni di indagini e altrettant­e udienze di primo grado.

 ??  ?? Amianto e decessi Ci sarà un secondo processo, quello d’appello, sulle morti d’amianto presso OfvGaltaro­ssa
Amianto e decessi Ci sarà un secondo processo, quello d’appello, sulle morti d’amianto presso OfvGaltaro­ssa

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