I big dell’Amarone contro il Consorzio: appello alla Regione
La richiesta di ridurre la cernita scatena una nuova guerra. L’appello di Masi: «Non si decida ora»
Qualche goccia di pioggia, il sole che scalda ma non troppo. E una stagione che non sarà leggendaria, ma al momento è di livello di medio alto, se non forse ottimo. La vendemmia per i grandi rossi veronesi, ad oggi, viene catalogata così dagli addetti ai lavori dopo un inizio «anticipato» grazie al caldo di aprile e maggio, poi svilito dai nubifragi di giugno. «Se il cielo non tradisce, prevediamo l’inizio della vendemmia nella terza settimana di settembre», ipotizza Daniele Accordini, enologo della cantina cooperativa Valpolicella Negrar (230 soci, 700 ettari di vigneti in prevalenza nelle colline della Valpolicella Classica, oltre trenta milioni di euro di fatturato). «Al momento le temperature non superano i 32 gradi, livello sopra al quale la fotosintesi rallenta. Inoltre, le buone escursioni termiche notturne favoriscono l’alchimia complessiva dell’uva. Speriamo che il meteo non peggiori».
Ma nell’attesa è sempre calda la polemica per la questione della cernita. Il 25 luglio scorso, infatti, il Consorzio per la tutela dei vini Valpolicella ha presentato alla Regione un’istanza per la riduzione del quantitativo di uva certificabile per ettaro da destinare alla produzione dei vini Docg «Amarone della Valpolicella» e «Recioto della Valpolicella». La richiesta è di ridurre al 40% la cernita, ossia la «scelta vendemmiale» rispetto al limite massimo consentito del 65%. La percentuale, per i non addetti ai lavori, si riferisce alla resa di uva prevista dal disciplinare di produzione, ossia 120 quintali all’ettaro: i produttori potranno mettere a riposo al massimo 48 quintali di uva a ettaro anziché i 78 previsti come tetto massimo.
Una richiesta, pubblicata sul Bur (il 75 dello scorso 5 agosto), che è oggetto di polemiche, in particolare da parte delle Famiglie dell’Amarone d’Arte. Sabrina Tedeschi, loro rappresentante, ha già spedito alla Regione le proprie controdeduzioni sperando che vengano accolte. «Serve pensare alla qualità e non alla quantità - dice - Dobbiamo ipotizzare una zonazione del territorio, i vini di collina hanno caratteristiche diverse da quelli di pianura. Altrimenti viene meno il diritto di una selezione al 65% nelle zone più vocate e le aziende capaci di commercializzare l’Amarone avranno ripercussioni».
Sul tema, da registrare appunto un intervento di Masi Agricola, uno dei leader del settore, che nel comunicato stampa sui risultati del primo semestre relativo all’andamento della società, quotata sul mercato Aim di Borsa Italiana, ha deciso di puntualizzare, in modo non del tutto rituale, anche alcuni passaggi sulle scelte del consorzio. Queste le parole: «La richiesta del Consorzio, pur prevista dalla normativa in casi di eccezionalità, oggi è intempestiva, fondata su presupposti metodologicamente carenti, lesiva degli interessi dei produttori di qualità, turbativa del mercato. Auspichiamo che una simile presa di posizione, la quale rappresenta un mero intervento tattico, a fronte invece di un impasse strutturale, non venga accettata dalla Regione. La questione dovrebbe definirsi in limine alla vendemmia».
Il Consorzio, di fronte a queste accuse, si è difeso spiegando che il suo compito è quello di tutelare tutto il sistema e non solo alcuni attori. La partita è quella sulla reale capacità di vendita del sistema Amarone delle bottiglie prodotte: ad oggi è stimata in circa 15 milioni, contro una produzione che in annate come questa può arrivare a venti milioni. «Nel 2015 la superficie ha toccato quota 7.596 ettari, con una prospettiva di espansione di ulteriori 533 ettari tra il 2017 e il 2018 - spiega il presidente Christian Marchesini - Di conseguenza, vista la maggior superficie, l’uva a riposo dal 2000 ad oggi è triplicata, mentre dal 2010 ha registrato un + 41%. Paragonando le annate 2012 e 2015 si è avuto un incremento pressoché analogo di circa il 13,8% annuo».
In questo scenario, ipotizzare i cambiamenti chiesti dalle Famiglie dell’Amarone, ma anche dai rappresentanti dei vignaioli indipendenti (Fivi) e dal settore vitivinicolo di Confragricoltura, rischia di compromettere alcuni equilibri. «Il Consorzio – chiude la direttrice Olga Bussinello – si muove in un perimetro delimitato da regole precise».
Tedeschi Bisogna pensare alla qualità, non la quantità, altrimenti si discrimina Marchesini Dal 2000 l’uva a riposo è triplicata, e continua a crescere Nodo produzione Il Consorzio vuole ridurre dal 65 al 40% il limite dell’uva che si può mettere a riposo