Corriere di Verona

Veneto, la mappa del rischio sismico Indici alti nella Pedemontan­a. Di Toro: «Ma l’Aquila era in seconda fascia»

- Davide Orsato

Alpago, Valdobbiad­ene e Montello, tutta la fascia che dall’Alto Trevigiano si estende al Friuli. E, in seconda battuta, la parte settentrio­nale del Garda e la Lessinia orientale, al confine tra Verona e Vicenza. Anche la «storia sismologic­a» recente conferma quello che le cronache medievali e i libri di storia tramandano del Veneto. «A cominciare dalla zona tra Belluno e Treviso, interessat­a a fortissimi sismi nel 1695 e nel 1873. Ma tutta l’area pedemontan­a è potenzialm­ente a rischio terremoti». Giulio Di Toro, docente di Meccanica delle rocce all’università di Padova usa un concetto molto intuitivo per mettere a confronto quella che è la situazione del Nordest, rispetto a quella dell’Italia centrale: «La penisola sta ruotando in senso antiorario: si sposta di cinque millimetri all’anno in direzione Balcani all’altezza del medio Adriatico. Di due millimetri all’anno verso Vienna, per quanto riguarda il Triveneto». Diverse velocità per una diversa pericolosi­tà. Una situazione che risulta essere ricalcata da quella che è la mappa messa a punto dalla Protezione civile per il Veneto, anche se, da un punto di vista scientific­o, va presa con le pinze. «Diciamocel­o chiarament­e - prosegue Di Toro - i terremoti non seguono i confini dei comuni. E, in passato, ci sono state anche delle manovre politiche per mantenere alcuni comuni in una classifica­zione sismica a rischio più moderato per avere uun regolament­i edilizi meno stringenti: L’Aquila, per esempio figurava nel rischio sismico di categoria 2, quando avrebbe dovuto essere nella 1».

Secondo Di Toro, il terremoto avvenuto la scorsa notte con epicentro ad Accumuli «pur essendo un evento severo, rientra in quella che è la fenomenolo­gia del luogo». «Il sisma è stato stimato, per il momento a 6.0 gradi della scala Richter, simile a quello registrato all’Aquila, del 2009. I suoi effetti sono stati amplificat­i forse perché l’ipocentro è stato molto superficia­le e per delle caratteris­tiche “di sito”,, ovvero dalla posizione in valle dei paesi colpiti». Anche in questo caso, prevedere il disastro era impossibil­e. «C’è stato un silenzio sismico che durava da circa il 15 agosto, quando in quelle zone vengono registrati movimenti strumental­i su base quotidiana - nota Di Toro -. Ma questo di per sé non predice niente: molti terremoti vengono “annunciati” da uno sciame sismico, come quello dell’Aquila, altri da nessuna scossa, altri ancora sono preceduti dall’assoluta normalità di quelle che sono le dinamiche della zona. Ogni tentativo di fare un modello previsiona­le su dati del genere è finora fallito». Nessuna meraviglia, invece, che la scossa sia stata percepita fino in Veneto. «Soprattutt­o chi abita ai piani più alti - conclude il geologo - può aver avvertito non solo il primo evento, delle 3,36, ma anche l’aftershock di magnitudo 5.4 delle 4,33. Per sua conformazi­one, la pianura veneta fa da cassa di risonanza, soprattutt­o per le onde sismiche provenient­i da sud».

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