Zenari: «Torno in Siria, il mio posto è lì Hanno bombardato anche la speranza»
«Il Papa predica accoglienza»
La «berretta» la sta festeggiando, se così si può dire, tra i parenti e gli amici del suo paese natale, Rosegaferro, frazione di Villafranca di Verona, a due passi dal Mantovano, dove può ancora passeggiare e andare in bici come una persona qualsiasi. L’ultima scampagnata da ciclista la settimana scorsa: fino a Sirmione, con pranzo al sacco. La libertà che aveva quand’era un giovane prete. Da qualche anno, in Siria, monsignor Mario Zenari, esce solo di rado dall’edificio che ospita la nunziatura apostolica: ordini delle forze di sicurezza di Damasco. L’arcivescovo, da poche ore «eminenza», non ha dubbi: Francesco l’ha scelto anche per il «suo» Paese, la Siria «amatissima e martoriata», nelle parole del Santo Padre.
Nell’annuncio del concistoro del 19 novembre, e la creazione di diciassette cardinali, di cui tredici sotto gli ottant’anni, dunque possibili elettori in un futuro conclave, il nome di monsignor Zenari è risuonato per primo. Un segno significativo, e lo è ancora di più il fatto che sia stato elevato cardinale un nunzio apostolico che tutt’ora svolge questo ufficio. Qualcosa di inedito, mentre Venezia, Torino e le altre storiche sedi cardinalizie restano «a bocca asciutta». Ed è clamorosa la notizia che monsignor Zenari resterà là dove si trova, a continuare a fare l’ambasciatore della Santa Sede, anche dopo la nomina. È lui stesso ad esserne rimasto sorpreso, avvertito domenica da amici che l’avevano appreso dalla televisione. Gli stessi amici che ieri, nella casa della sorella a Rosegaferro, lo continuavano a chiamare senza sosta.
Monsignor Zenari, lei è stato convocato in Vaticano di recente e ha avuto due colloqui con il Papa. Le era stato annunciato qualcosa?
«Assolutamente no. Anzi, sono un po’ scombussolato. È vero, ho incontrato il Santo Padre, in una delle due occasioni con tutti gli altri colleghi delle nunziature apostoliche. Ma non si è affatto accennato a quanto è poi accaduto. Io non me lo aspettavo nemmeno lontanamente, per il semplice fatto che non era mai accaduto. Di norma i nunzi restano arcivescovi, non vengono fatti cardinali».
È previsto il ritorno in Siria a breve?
«Sì, questa è la volontà esplicita del Papa. Il mio posto è lì».
Come si aspetta di trovarla dopo le notizie di questi giorni, A casa Monsignor Mario Zenari , neo cardinale, con la sorella Giuseppina nella casa di Rosegaferro a cominciare dal mancato accordo sul cessate il fuoco tra i membri del consiglio di sicurezza dell’Onu?
«L’impressione è che stiano bombardando anche la speranza. La situazione sembra ben lontana dallo sbloccarsi e questo non potrà che avere conseguenze su una popolazione già allo stremo. Basterebbe avere la sicurezza di una tregua duratura, senza bombardamenti, per poter consentire a molte persone che hanno perso le loro case, che vivono in tende o in ripari di fortuna di ritornare nelle città e di riprendere a vivere. Come quando Stati Uniti e Russia si sono messi d’accordo, nel 2013, a bandire le armi chimiche: fu un miracolo».
In Europa, così come in Italia e in Veneto la crisi siriana è sinonimo di rifugiati. Ma sembra - lo ricorda la cronaca di questi giorni - che il nostro territorio non sia sempre molto favorevole all’accoglienza…
«Su questo la penso come il Papa, che ha fatto dell’accoglienza un punto fermo della sua pastorale. Si tratta di povera gente che non può fare altro che scappare, senza contare che quelli che riescono a venir via sono i più giovani. Chi resta, spesso con un basso livello d’istruzione e avanti con l’età, ha davanti prospettive peggiori. È una vera tragedia per questa terra: la fuga dalla guerra ha avuto come conseguenza una società senza più ragazzi e ragazzi, con pochissime persone in grado di svolgere un lavoro».
Le pesa la sua condizione da «semirecluso»?
«Purtroppo è necessaria, non essendo ormai neppure Damasco più sicura. Ci sono interi quartieri ancora in mano ai ribelli, non riescono a stanarli. E nel frattempo si bombarda».
Quando è stato ordinato sacerdote e ha iniziato il ministero come prete diocesano si aspettava che avrebbe potuto finire così?
«Personalmente, lo escludevo proprio. Il mio sogno era quello di diventare parroco. E lo è tuttora, vorrei gestire una piccola comunità, non l’ho mai fatto».
Quali sono stati i suoi inizi? «Ho fatto il curato, da assistente del parroco, a Buttapietra e a Cerea. Mi sarebbe bastato qualche anno, forse cinque o sei, per avere la mia parrocchia, ma il vescovo dell’epoca, monsignor Giuseppe Carraro, dispose diversamente e mi mandò a Roma a disposizione della diplomazia vaticana».
Cosa le manca di più della sua terra?
«Quando arriva marzo, fuori da questa finestra si vedono i peschi in fiore. È uno spettacolo stupendo. Ho girato quattro continenti, visitato quaranta paesi, ma non ho mai visto fiori così belli. Questo, e il suono delle campane: nonostante ogni religione abbia i suoi modi di esprimersi, in Sri Lanka sentivo le litanie buddiste, in Siria il canto del muezzin, ma per me quella è una melodia che rimane insuperata».
Ha pensato alla responsabilità in un eventuale conclave?
«No, è tutto nelle mani di Dio».