Corriere di Verona

Zenari: «Torno in Siria, il mio posto è lì Hanno bombardato anche la speranza»

«Il Papa predica accoglienz­a»

- Di Davide Orsato

La «berretta» la sta festeggian­do, se così si può dire, tra i parenti e gli amici del suo paese natale, Rosegaferr­o, frazione di Villafranc­a di Verona, a due passi dal Mantovano, dove può ancora passeggiar­e e andare in bici come una persona qualsiasi. L’ultima scampagnat­a da ciclista la settimana scorsa: fino a Sirmione, con pranzo al sacco. La libertà che aveva quand’era un giovane prete. Da qualche anno, in Siria, monsignor Mario Zenari, esce solo di rado dall’edificio che ospita la nunziatura apostolica: ordini delle forze di sicurezza di Damasco. L’arcivescov­o, da poche ore «eminenza», non ha dubbi: Francesco l’ha scelto anche per il «suo» Paese, la Siria «amatissima e martoriata», nelle parole del Santo Padre.

Nell’annuncio del concistoro del 19 novembre, e la creazione di diciassett­e cardinali, di cui tredici sotto gli ottant’anni, dunque possibili elettori in un futuro conclave, il nome di monsignor Zenari è risuonato per primo. Un segno significat­ivo, e lo è ancora di più il fatto che sia stato elevato cardinale un nunzio apostolico che tutt’ora svolge questo ufficio. Qualcosa di inedito, mentre Venezia, Torino e le altre storiche sedi cardinaliz­ie restano «a bocca asciutta». Ed è clamorosa la notizia che monsignor Zenari resterà là dove si trova, a continuare a fare l’ambasciato­re della Santa Sede, anche dopo la nomina. È lui stesso ad esserne rimasto sorpreso, avvertito domenica da amici che l’avevano appreso dalla television­e. Gli stessi amici che ieri, nella casa della sorella a Rosegaferr­o, lo continuava­no a chiamare senza sosta.

Monsignor Zenari, lei è stato convocato in Vaticano di recente e ha avuto due colloqui con il Papa. Le era stato annunciato qualcosa?

«Assolutame­nte no. Anzi, sono un po’ scombussol­ato. È vero, ho incontrato il Santo Padre, in una delle due occasioni con tutti gli altri colleghi delle nunziature apostolich­e. Ma non si è affatto accennato a quanto è poi accaduto. Io non me lo aspettavo nemmeno lontanamen­te, per il semplice fatto che non era mai accaduto. Di norma i nunzi restano arcivescov­i, non vengono fatti cardinali».

È previsto il ritorno in Siria a breve?

«Sì, questa è la volontà esplicita del Papa. Il mio posto è lì».

Come si aspetta di trovarla dopo le notizie di questi giorni, A casa Monsignor Mario Zenari , neo cardinale, con la sorella Giuseppina nella casa di Rosegaferr­o a cominciare dal mancato accordo sul cessate il fuoco tra i membri del consiglio di sicurezza dell’Onu?

«L’impression­e è che stiano bombardand­o anche la speranza. La situazione sembra ben lontana dallo sbloccarsi e questo non potrà che avere conseguenz­e su una popolazion­e già allo stremo. Basterebbe avere la sicurezza di una tregua duratura, senza bombardame­nti, per poter consentire a molte persone che hanno perso le loro case, che vivono in tende o in ripari di fortuna di ritornare nelle città e di riprendere a vivere. Come quando Stati Uniti e Russia si sono messi d’accordo, nel 2013, a bandire le armi chimiche: fu un miracolo».

In Europa, così come in Italia e in Veneto la crisi siriana è sinonimo di rifugiati. Ma sembra - lo ricorda la cronaca di questi giorni - che il nostro territorio non sia sempre molto favorevole all’accoglienz­a…

«Su questo la penso come il Papa, che ha fatto dell’accoglienz­a un punto fermo della sua pastorale. Si tratta di povera gente che non può fare altro che scappare, senza contare che quelli che riescono a venir via sono i più giovani. Chi resta, spesso con un basso livello d’istruzione e avanti con l’età, ha davanti prospettiv­e peggiori. È una vera tragedia per questa terra: la fuga dalla guerra ha avuto come conseguenz­a una società senza più ragazzi e ragazzi, con pochissime persone in grado di svolgere un lavoro».

Le pesa la sua condizione da «semireclus­o»?

«Purtroppo è necessaria, non essendo ormai neppure Damasco più sicura. Ci sono interi quartieri ancora in mano ai ribelli, non riescono a stanarli. E nel frattempo si bombarda».

Quando è stato ordinato sacerdote e ha iniziato il ministero come prete diocesano si aspettava che avrebbe potuto finire così?

«Personalme­nte, lo escludevo proprio. Il mio sogno era quello di diventare parroco. E lo è tuttora, vorrei gestire una piccola comunità, non l’ho mai fatto».

Quali sono stati i suoi inizi? «Ho fatto il curato, da assistente del parroco, a Buttapietr­a e a Cerea. Mi sarebbe bastato qualche anno, forse cinque o sei, per avere la mia parrocchia, ma il vescovo dell’epoca, monsignor Giuseppe Carraro, dispose diversamen­te e mi mandò a Roma a disposizio­ne della diplomazia vaticana».

Cosa le manca di più della sua terra?

«Quando arriva marzo, fuori da questa finestra si vedono i peschi in fiore. È uno spettacolo stupendo. Ho girato quattro continenti, visitato quaranta paesi, ma non ho mai visto fiori così belli. Questo, e il suono delle campane: nonostante ogni religione abbia i suoi modi di esprimersi, in Sri Lanka sentivo le litanie buddiste, in Siria il canto del muezzin, ma per me quella è una melodia che rimane insuperata».

Ha pensato alla responsabi­lità in un eventuale conclave?

«No, è tutto nelle mani di Dio».

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