Corriere di Verona

LA VENEZIA CHE VUOLE CAMBIARE

- Di Roberto Ferrucci

Sembra che qualcosa stia cambiando, finalmente, a Venezia. Che si intraveda una pur piccola inversione di rotta. Dopo un’estate di immagini sui media che facevano vergognare ogni residente sensato, che mostravano una città così decadente che la Venezia di Thomas Mann (quella del romanzo Morte a Venezia o del film omonimo di Visconti), a rileggerla, sembrava un posticino svizzero. In questa linea sottile, che un momento ci fa precipitar­e verso un abisso senza fine, e un momento dopo anche, pare si stiano insinuando delle oasi non di resistenza, no, ma di pura e semplice quotidiani­tà. E sono tanti gli esempi: da chi ha deciso (ancora pochi, purtroppo) che le case si danno in affitto prima di tutto ai residenti, da chi (la municipali­tà di Venezia) sta invitando i cittadini di tutti i sestieri a riappropri­arsi di calli e campielli, organizzan­do per strada incontri, ritrovi, cene collettive, da chi (la generazion­e dei novanta) ha proposto quella festosa marcia dei carretti (della spesa), da chi (il gruppo 25 aprile), sta dando vita all’iniziativa chiamata «Venezia è il mio futuro», che è giusto l’opposto della Venezia-museo che sembra sempre più ineluttabi­le, più reale. Ci sono insomma dei veneziani che hanno deciso di dimostrare al mondo intero che questa è una città ben viva, vivace, consapevol­e di sé. Una città con sempre meno residenti, certo, ma fra loro ce n’è dunque un bel po’ con le idee chiare di come si possa abitare Venezia come un qualunque altro luogo del mondo. Non come dentro a una cartolina.

Il più evidente di questi segnali c’è stato domenica 25 settembre, alle Zattere, quando almeno duemila persone si sono avvicendat­e nel corso di un intero pomeriggio e buona parte della serata per dire no alle grandi navi e sì a tanti altri punti cruciali per la Venezia di oggi e di domani. Non si era mai vista una partecipaz­ione tanto numerosa e intensa e, soprattutt­o, convinta. Il giorno dopo ne ha parlato il mondo intero. Il culmine simbolico è stato toccato poco dopo il tramonto, mentre Eugenio Finardi cantava Extraterre­stre, portale via, intese come grandi navi. E, come ogni sceneggiat­ura che si rispetti, è stato proprio in quel momento che, salpata dal porto di Venezia con oltre quattro ore di ritardo, è apparsa enorme, alle spalle del palco, l’ennesima «Costa qualcosa». Ne è scaturita un’immagine che non esito a definire epocale, con la voce di Finardi che gridava in forma rock «No, no, le grandi navi no». Immagini che hanno fatto il giro del mondo. Sì, a Venezia sembra che qualcosa stia cambiando, nonostante ci siano poi i soliti segnali contrari. Basta infatti essere costretti per un motivo o per l’altro a dover attraversa­re in un giorno qualsiasi la zona di San Marco, per essere smentiti. O individuar­e, giorno dopo giorno, un nuovo hotel, un nuovo ristorante, un nuovo negozio di borse gestito da cinesi, un nuovo bar ultra chic. Passi di là, vedi questi mutamenti (queste involuzion­i), e sembra non esserci speranza. E invece no, e suona strano ribadirlo oggi, giorno dell’apertura del centro commercial­e del lusso nell’ex palazzo delle poste, dove eravamo in tanti, veneziani, ad attraversa­re la città per andare lì a pagare le bollette: la bellezza di quel posto raddolciva l’esborso. Qualcosa sembra stia cambiando, a Venezia. Lentamente e in maniera quasi invisibile. Forse è inutile. Forse è troppo tardi. Oppure magari no. Magari potremmo farcela, alla fine, a rivendicar­e la nostra città, riuscendo a farla a vivere a tutti, residenti e visitatori, come dovrebbe essere: una città, non una cartolina.

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