La psicologa «Le emozioni e le regole»
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PADOVA Dialogo tra un direttore (del Corriere del Veneto)e una psicanalista (nonché scrittrice). Tema: «La gestione delle emozioni nel lavoro».
Chiede lui: «Un capo non può emozionarsi, anche se quello che fa nasce dalle emozioni: ma sono davvero così negative?». Risponde lei: «È irrilevante che si mostrino le emozioni, l’importante è riuscire a gestirle». Vivace confronto fra Alessandro Russello e Vera Slepoj su una questione che attraversa le vite delle donne e degli uomini.
In un’epoca che mescola e confonde femminile e maschile, facendo emergere tensioni e contraddizioni, l’emotività può essere fonte di imbarazzi. «La filosofia ha origine dalle passioni – riflette Russello – e il pensiero non guida la mente bensì le emozioni. Ma nel lavoro siamo portati a pensare che le emozioni vadano nascoste perché sono un segno di debolezza». Giusto o sbagliato? «Il lavoro – replica Slepoj – è il risultato di ciò che si è, è l’applicazione del tuo modo di essere, sia che tu abbia un determinato impiego per scelta o per costrizione. Sono invece le modalità con cui procedi nell’eseguire un lavoro che distinguono la tua storia personale e soggettiva».
Ma dare sfogo alla rabbia urlando, o alla paura piangendo, è un comportamento ammissibile in un contesto professionale? «Ci sono regole sociali – sottolinea la psicanalista – che dobbiamo imparare a ripristinare. Si pensa che a non avere regole l’individuo sia più felice, invece non è così, tant’è vero che il bambino nelle sue tappe evolutive ha bisogno che i genitori gli diano un’idea del mondo, altrimenti non sarà in grado di diventare un adulto. Il problema è che oggi l’individuo spesso non è in grado di riconoscere le proprie emozioni, in quanto il mondo iper-connesso ti porta ad una dispersione della capacità di interiorizzare chi tu sei».Proprio questo tempo liquido, ragiona Russello, potrebbe però determinare una situazione imprevista: «Non è che sta nascendo una forma di persona in grado di unire le sensibilità che di solito attribuiamo al maschile e al femminile, una figura molto meno conflittuale, per il fatto che gli uomini si cibano di parole e gesti delle donne, e viceversa?». Sul punto Slepoj mantiene un certo margine di dubbio, frutto delle difficoltà di una società che non sempre sa ascoltarsi: «Le donne di oggi non si riconoscono più nelle battaglie femminili, ma non hanno gli strumenti adeguati nella gestione dei sentimenti, tanto che confondono ancora la gelosia con la violenza. E c’è un gap molto forte tra le vecchie e le nuove generazioni, perché le adolescenti non comunicano con le madri ma con il gruppo delle chat e dei “mi piace”. Purtroppo in questa epoca le emozioni spaventano i ragazzi, i quali le confondono con le emozioni artificiali che vanno a prendersi negli stupefacenti e nell’alcol». Un dato positivo, però, è quello ricordato da Russello: «Il Veneto è la regione che negli ultimi anni si è contraddistinta per il tragico fenomeno dei suicidi degli imprenditori. Ma non ce n’è stato neanche uno da parte di donne imprenditrici, caratterizzate piuttosto da una certa resilienza».
Un’evidenza che secondo Slepoj deve far riflettere gli uomini: «Per troppo tempo l’obiettivo del Veneto è stato quello di avere successo sul piano economico. Questo ha fatto sì che l’imprenditore non abbia avuto la base interiore, culturale etica tale da fargli reggere l’insuccesso, incanalando le energie verso nuovi sistemi, magari creativi come insegnano tante belle storie di successo».