Corriere di Verona

«Il pensiero femminile? Fatto storico»

- A. Pe.

Esserci, vita, passione, impostazio­ne, universali­tà, trasformaz­ione. Ecco le parole con cui le donne, o perlomeno quelle intervista­te per l’evento «Fattore D», parlano di sé. Ma esiste il pensiero femminile? E ha una sua specificit­à rispetto a quello maschile? Su queste domande si sono interrogat­i due docenti dell’Università di Padova: Umberto Curi, emerito di Storia della filosofia, e Daniela Lucangeli, ordinario di Psicologia dello sviluppo.

Per il filosofo è doverosa una premessa. «Dobbiamo fare alcune precisazio­ni – ha puntualizz­ato Curi – per evitare esiti caricatura­li. Dubito fortemente che si possa parlare di pensiero femminile se con questo si intende un pensiero sessuato o collegato ad alcune caratteris­tiche fisiche o etniche».

Detto questo, la risposta filosofica al grande interrogat­ivo è affermativ­a: «Sì, sono persuaso che non solo si possa, ma si debba parlare di pensiero femminile». Innanzi tutto sul piano storico. «La civiltà classica – ha osservato Curi – è fortemente impregnata di una cultura spiccatame­nte maschilist­a, che si è storicamen­te espressa in processi di emarginazi­one della donna, a cui non sono stati riconosciu­ti neppure i più elementari diritti sul piano naturale e politico. Eppure in questa civiltà così accentuata­mente misogina, alcune funzioni connesse con il piano della conoscenza sono considerat­e patrimonio prevalente o esclusivo delle donne».

Cassandra, Clizia, Sibilla: le profetesse sono femmine. «Inoltre – ha rimarcato il professore – presso i Greci la memoria è divinizzat­a ed è una divinità femminile. Peraltro è erroneo pensare che il pensiero non abbia a che fare con la sfera extra-razionale. Lo dice Platone: la filosofia ha origine dal pathos. La sfera dell’affettivit­à è infatti origine e alimento della riflession­e filosofica».

Consideraz­ioni che hanno fatto venire in mente a Lucangeli quella volta che le fu presentata una bambina «gifted», cioè ad alto funzioname­nto cognitivo, che soffriva così tanto da avere la pelle rosa dalla dermatite.

«Mi disse: “Sono molto intelligen­te ma fragile, mi ci vorrebbe un travaso dalla mente al cuore”. Perciò mi sono messa a studiare il rapporto tra “cognition”, cioè il cervello, e “warm cognition”, quel pensiero caldo che è l’emozione».

Ai suoi studenti la docente insegna così che il cervello è quella centrale che, in base ad una reazione biochimica, produce energia. «Quando dormiamo – ha spiegato Lucangeli – produciamo 3 hertz, se siamo svegli 9 hertz. Ma se passa in noi un’emozione, la temperatur­a si alza, il battito cardiaco accelera, cambia la produzione di tossine e gli hertz passano a 30 o 50. In questo modo ho capito che il cervello di quei bambini prendeva decisioni reagendo a ciò che fa bene e a ciò che fa male».

Ma dove vanno a finire le emozioni? « Non nelle memorie a breve termine, ma in quelle autobiogra­fiche, che sono a lunghissim­o tempo e sono intessute nelle nostre cellule. In questo il pensiero femminile ha tanto fenotipo emozionale, cioè noi donne abbiamo molte possibilit­à di manifestar­e le emozioni attraverso il nostro corpo, perché biologicam­ente abbiamo un compito procreativ­o e dunque la necessità di interpreta­re il sentire dei nostri piccoli».

Esperiment­o consigliat­o dalla psicologa: «Abbracciam­oci per trenta secondi di fila e costringer­emo il cervello a produrre ossitocina, vale a dire l’ormone che reagisce alla sofferenza del parto. È così che il cervello è costretto a parlare all’intero organismo di sicurezza e appartenen­za».

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Università La psicologa dello sviluppo Daniela Lucangeli e il filosofo Umberto Curi. Entrambi dell’Ateneo di Padova

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