IL FATTORE PIL DEGLI IMMIGRATI
Mettiamoci l’animo in pace. Di migranti, di profughi, di stranieri e di sbarchi ne sentiremo parlare a lungo. Diventeranno – anzi sono già divenuti – una categoria solida del nostro tempo. Per (almeno) due semplici motivi. Il primo è che il nostro è un mondo in movimento, affollato e «stretto», come dice il demografo Livi Bacci. Con un problemino connesso: e cioè che fra una sola generazione il mondo avrà due miliardi e mezzo in più di abitanti e le popolazioni dei paesi poveri raddoppieranno mentre addirittura triplicheranno quelle delle aree più deprivate, come l’Africa subsahariana. Il secondo motivo sta nella geografia: l’Italia, com’è noto, è distesa sul Mediterraneo, ponte naturale tra Africa ed Europa, tra il mondo demograficamente ricco ed economicamente povero ed il mondo economicamente opulento e demograficamente invecchiato ed in via di spopolamento (un piccolo esempio? Il Veneto è calato di 6.300 abitanti nei primi cinque mesi dell’anno). A questo punto possiamo adottare tre approcci, tre atteggiamenti. Il primo, quello forse più di moda, di sicuro più facile e perfino istintivo, è quello della pancia. Che brontola sonoramente la propria insofferenza, teme l’invasione, lo stravolgimento culturale e religioso, la criminalità, il terrorismo (islamico), la concorrenza per i posti di lavoro e chi più ne ha più ne metta. Un mal di pancia la cui diagnosi, in sintesi, si chiama xenofobia. Poi c’è l’approccio morbido e pietoso del cuore, pronto a commuoversi alla visione degli sbarchi, al sapere degli oltre 3 mila disperati annegati nel Mediterraneo solo quest’anno, alla situazione dei tanti bambini arrivati senza genitori. Un cuore che batte per questi «dannati della terra», pronto all’elemosina ed alla solidarietà. E c’è poi il terzo approccio, quello razionale della testa. Che cerca di capire prima di tutto, non disdegnando qualche numero, qualche statistica. Non occorre scomodare Pitagora per sapere infatti che i numeri comprendono meglio la realtà di quanto sappiano fare la paura, la xenofobia o la commozione. Ecco perché è importante l’annuale ricerca della Fondazione Moressa sul contributo economico dell’immigrazione – e di lavori analoghi – che, al di là della gran massa di dati presentati, quantifica in modo incontrovertibile una realtà. E cioè che gli stranieri producono: producono Pil, producono imprese, producono occupazione, producono (perfino) tasse per il fisco e contributi per il nostro affamato sistema pensionistico. Solo tre numeri che parlano da soli: in Veneto gli immigrati sono il 10,1 per cento della popolazione ma rappresentano il 10,8 per cento dei contribuenti e producono il 10,4 per cento della ricchezza regionale. Tre numeri che ci potrebbero ricordare come talvolta negli stessi problemi si trovi la loro (inattesa) soluzione.