Giustizia o misericordia? Procura e Chiesa a confronto
Venezia, D’Ippolito e il Patriarca affrontano il rapporto tra Legge e perdono in un dialogo serrato
«La misericordia in sé e per sé non appartiene al sistema giustizia. Il giudice ha una soggezione assoluta nei confronti della legge». «Il cammino di conversione chiede di andare oltre le strette misure degli uomini e spinge a comprendere che la misericordia è il nome ultimo della giustizia». Da un lato il procuratore aggiunto di Venezia Adelchi d’Ippolito, dall’altro il Patriarca Francesco Moraglia. Posizioni in apparenza inconciliabili quelle del magistrato e dell’alto prelato, ma entrambi, quasi come in un libro giallo, rimandano al 28 ottobre per la soluzione di un dilemma etico-filosofico. Quel giorno, alle 17.30 alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia, tra d’Ippolito e Moraglia ci sarà un faccia a faccia, la cui ispirazione viene dal tema portante dell’anno giubilare lanciato da Papa Francesco. Le domande sono chiare, ma anche complesse: dal magistrato mi aspetto che sia giusto o misericordioso? La giustizia terrena è una necessità per tutti, cristiani compresi, oppure no? Chi commette un reato può essere perdonato o deve comunque pagare il proprio debito nei confronti della società? Domande che, viste con l’occhio laico di un mondo come quello giudiziario, sembrano scontate, tanto più in un’epoca storica in cui, anzi, l’0pinione pubblica – al di là dei colori politici, anche se ovviamente questo approccio è più sentito dalle parti del leghismo – chiede alla magistratura di essere più severa con chi delinque e di emettere pene certe e, nei casi estremi, mette alla berlina i magistrati accusati di scarcerare o assolvere (oppure, come nel caso Stacchio, di condannare chi, dal loro punto di vista, si è solo difeso).
Ovviamente l’approccio cristiano è diverso. «La giustizia, nella Chiesa e nel mondo, in ambito canonico come nel versante civile e penale, è veramente tale solo se non smarrisce se stessa e fa entrare nel suo cammino la realtà profondamente umanizzante della misericordia», afferma Moraglia. Il procuratore d’Ippolito su questo punto non è così distante dal Patriarca: «L’azione del magistrato implica una continua e faticosa riflessione che non deve mai trascurare la persona umana che si ha di fronte», afferma. Non facile laddove il sistema-giustizia, con migliaia di fascicoli aperti e udienze in cui un magistrato ne affronta a decine, sembra più una fabbrica taylorista, una catena di montaggio delle sentenze. «Rifiuto questa impostazione - dice però d’Ippolito - il magistrato deve saper ripercorrere il percorso compiuto dall’individuo per arrivare a commettere un reato».
«Per un giurista il problema è semplice: la giustizia, come affermazione della legalità, è prioritaria nell’ordine logico aggiunge l’altro procuratore aggiunto lagunare, Carlo Nordio - La misericordia, intesa come perdono e riduzione o estinzione della pena è una scelta politica». Secondo Nordio, però, neppure la Chiesa può promuovere il perdono tout court: «Non può prescindere dall’ammissione della colpa, dal pentimento, dalla penitenza e dal fermo proposito di non peccare più - conclude - Una misericordia gratuita confliggerebbe con l’affermazione di un Dio giusto».
D’Ippolito Soggezione totale del giudice alla Legge Moraglia Si vada oltre le misure dell’uomo