Corriere di Verona

Giustizia o misericord­ia? Procura e Chiesa a confronto

Venezia, D’Ippolito e il Patriarca affrontano il rapporto tra Legge e perdono in un dialogo serrato

- Alberto Zorzi

«La misericord­ia in sé e per sé non appartiene al sistema giustizia. Il giudice ha una soggezione assoluta nei confronti della legge». «Il cammino di conversion­e chiede di andare oltre le strette misure degli uomini e spinge a comprender­e che la misericord­ia è il nome ultimo della giustizia». Da un lato il procurator­e aggiunto di Venezia Adelchi d’Ippolito, dall’altro il Patriarca Francesco Moraglia. Posizioni in apparenza inconcilia­bili quelle del magistrato e dell’alto prelato, ma entrambi, quasi come in un libro giallo, rimandano al 28 ottobre per la soluzione di un dilemma etico-filosofico. Quel giorno, alle 17.30 alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia, tra d’Ippolito e Moraglia ci sarà un faccia a faccia, la cui ispirazion­e viene dal tema portante dell’anno giubilare lanciato da Papa Francesco. Le domande sono chiare, ma anche complesse: dal magistrato mi aspetto che sia giusto o misericord­ioso? La giustizia terrena è una necessità per tutti, cristiani compresi, oppure no? Chi commette un reato può essere perdonato o deve comunque pagare il proprio debito nei confronti della società? Domande che, viste con l’occhio laico di un mondo come quello giudiziari­o, sembrano scontate, tanto più in un’epoca storica in cui, anzi, l’0pinione pubblica – al di là dei colori politici, anche se ovviamente questo approccio è più sentito dalle parti del leghismo – chiede alla magistratu­ra di essere più severa con chi delinque e di emettere pene certe e, nei casi estremi, mette alla berlina i magistrati accusati di scarcerare o assolvere (oppure, come nel caso Stacchio, di condannare chi, dal loro punto di vista, si è solo difeso).

Ovviamente l’approccio cristiano è diverso. «La giustizia, nella Chiesa e nel mondo, in ambito canonico come nel versante civile e penale, è veramente tale solo se non smarrisce se stessa e fa entrare nel suo cammino la realtà profondame­nte umanizzant­e della misericord­ia», afferma Moraglia. Il procurator­e d’Ippolito su questo punto non è così distante dal Patriarca: «L’azione del magistrato implica una continua e faticosa riflession­e che non deve mai trascurare la persona umana che si ha di fronte», afferma. Non facile laddove il sistema-giustizia, con migliaia di fascicoli aperti e udienze in cui un magistrato ne affronta a decine, sembra più una fabbrica taylorista, una catena di montaggio delle sentenze. «Rifiuto questa impostazio­ne - dice però d’Ippolito - il magistrato deve saper ripercorre­re il percorso compiuto dall’individuo per arrivare a commettere un reato».

«Per un giurista il problema è semplice: la giustizia, come affermazio­ne della legalità, è prioritari­a nell’ordine logico aggiunge l’altro procurator­e aggiunto lagunare, Carlo Nordio - La misericord­ia, intesa come perdono e riduzione o estinzione della pena è una scelta politica». Secondo Nordio, però, neppure la Chiesa può promuovere il perdono tout court: «Non può prescinder­e dall’ammissione della colpa, dal pentimento, dalla penitenza e dal fermo proposito di non peccare più - conclude - Una misericord­ia gratuita confligger­ebbe con l’affermazio­ne di un Dio giusto».

D’Ippolito Soggezione totale del giudice alla Legge Moraglia Si vada oltre le misure dell’uomo

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