Corriere di Verona

LA BELLA IMPRESA DI GOLDIN

- Di Alessandro Russello

Un serpente di uomini e donne, in fila ordinati, con libri e cartine toponomast­iche in mano perché Google Maps e app dedicate per città smart erano ancora a venire, ancora nella testa dei programmat­ori del Nuovo Impero Mondiale: il web. Un serpente umano conficcato nello struscio modaiolo ma rarefatto del sabato pomeriggio di una Treviso sempiterna­mente conosciuta per Signore e Signori e il radicchio tardivo, il suo bel giro d’acque che nel Sile confluisce e s’accompagna, i cicchetti delle osterie e, nascosti ai più, cicli d’opere e chiese medievali per qualche raro intenditor­e. Struscio autarchico con altrettant­o sempiterno e asfittico dibattito sul come «far rivivere turisticam­ente» la Piccola Atene (così è arditament­e chiamata Treviso); che poi era (e resta) il cruccio di tante Treviso che sono le cento e più città della Repubblica della Bellezza di un’Italia straordina­ria e lazzarona, tesoro e dannazione, lamento e conservato­rismo, intrapresa e burocrazia, vai avanti tu che mi vien da ridere, tanto bla bla e pochi guizzi d’ingegno di politici e amministra­tori.

C’erano perfino ragazzi, in quel serpente. Che arrivava in piazza dei Signori dopo aver compiuto rettilinei e curve a gomito, infrazioni in contromano e divieti di sosta spalmandos­i come un blob che riempiva ogni spazio perché alla testa premeva contro un imbuto dove la gente faticava ad entrare.

Non era la porta di uno stadio, non quella di una discoteca, nemmeno il casting per il sequel di una commedia all’italiana a caccia di un nuovo Gastone Moschin o di una Virna Lisi capace di far impazzire d’amore e prurigine orde di mariti potenzialm­ente fedifraghi. Era, quell’imbuto, la porta di una mostra d’arte. Centinaia, migliaia di persone per vedere una mostra. A Treviso. Negli anni novanta. D’inverno. Battendo i denti. Al punto che in quelle code che per un’intera stagione si ripeterono ogni weekend che Dio mandava in terra, alla gente infreddoli­ta i ristorator­i portarono pasta fagioli e vin brûlé, conforto enogastron­omico in attesa di quello dello spirito.

Si parlò di eresia. Gli impression­isti e la pasta e fagioli. L’arte e il marketing condiviso. Van Gogh e l’empatia di un progetto che non se la tira. Ma era soprattutt­o una l’eresia: quella mostra, una delle grandi mostre che i veneti e gli italiani si sarebbero abituati a vedere, era stata ideata e realizzata da un privato. Un giovane storico dell’arte diventato imprendito­re. Certo, aiutato da sponsor fra i quali uno «pesante» come Fondazione Cassamarca. Ma un privato. Niente Stato, niente Regione, niente Provincia, niente Comune.

L’eresia aveva un nome ed è quello di Marco Goldin. Un’eresia che ha vent’anni. I vent’anni di Linea d’ombra, società dagli echi conradiani per via di quel capitano trentacinq­uenne (la stessa età di Goldin nel 1996) che riprese il mare per abbandonar­e le regioni della prima giovinezza ma soprattutt­o le linee d’ombra sui campi di grano o sul mare di Guccione, il pittore che forse lui ama di più. Vent’anni di Linea d’Ombra a Treviso e oltre Treviso e cioè Torino, Brescia, Genova, Verona, Vicenza, Bologna. E ancora, quest’anno, il ritorno a casa a Treviso fortemente voluto dal sindaco Giovanni Manildo, con la mostra-monstre nel gioiello che è diventato il Museo di Santa Caterina e che si inaugura oggi, dedicata alle «Storie dell’impression­ismo. I grandi protagonis­ti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin». Vent’anni fatti di diecimila capolavori esposti, dieci milioni di visitatori, decine di milioni di euro di valore aggiunto alle economie esauste di città in default costrette a tagliare servizi e a riempire di multe i cittadini per riempire le casse comunali.

E oggi come fece allora - dopo vent’anni di risultati che a quell’eresia danno ragione - chi scrive continua a dire ciò che pensò in quel 1996 contro i critici nicchianti e i curatori invidiosi delle mostre di Stato. Certo belle e impor- tanti (non tutte) ma organizzat­e con il paracadute dei fondi pubblici. O contro chi in quegli anni, ovvero la giunta leghista di Treviso, per arginare il «fenomeno Goldin» e lo sponsor Cassamarca – feudo di Dino De Poli – si mise in testa di organizzar­e un’esposizion­e concorrent­e affidandon­e la cura a un professore di matematica. La Lega spese un pozzo di soldi per esporre sei disegni (giapponesi) attribuiti a Van Gogh copiando il format goldiniano (scolaresch­e, comunicazi­one, forse anche la pasta e fagioli) e andò a finire che dopo qualche giorno cotanta mostra venne sequestrat­a dalla Guardia di Finanza perché puzzava di falso.

Marco Goldin è stato e resta un visionario, un intellettu­ale e imprendito­re del Nordest che con ciò che il Nordest dei produttori ha sempre snobbato – cioè la cultura – ha osato declinare il sostantivo profitto. Che da queste parti suona meglio dicendo «schei». La cultura che assieme alla spirituali­tà produce Pil, che fa quadrare i conti, che impatta sull’economia del territorio e lo arricchisc­e. In tutti i sensi.

Uno scandalo? No, un miracolo. Con la coda alla porta. Diversi Comuni con le mostre di Goldin (ma anche di altri privati organizzat­ori di mostre d’arte venuti dopo con alterne fortune) hanno sì speso ma fatto cambiare volto e reputazion­e alle loro città. Facendole diventare per davvero città d’arte e non solo annunci velleitari su una toponomast­ica d’ingresso ai centri abitati che fa ridere i polli.

Personaggi­o anche divisivo, Goldin. Qualcuno lo ha accusato di proporre mostre «facili», qualcuno dice anche «azzardate» per i temi proposti. Eppure nella bellezza e nei segreti dell’arte non c’è mai nulla di «facile». E’ «facile» un impression­ista per chi non ha mai visto dal vivo un quadro di Van Gogh? O è un’esperienza meraviglio­sa? E per contro è «facile» l’approccio con gli autori delle tante e tante mostre di Linea d’ombra che ci hanno fatto conoscere, vedere o rivedere Guccione, Morandi, Schifano, Pizzinato, Music, Mondrian, Munch, Guttuso, Vedova o Antonio Lopez Garcia oltre ad altri («facili»?) come Raffaello, Monet, Cézanne, Renoir od Hopper?

Contro certo spocchioso accademism­o, vent’anni fa è nata un’altra forma democratic­a di accesso all’arte perché offerta in modo diretto, più accattivan­te, scientific­a ma sfidante, con una capacità comunicati­va inconsueta. Non pop nel senso sminuente che alle cose pop solitament­e si dà. Se io faccio venire la voglia di vedere Monet o «La ragazza con l’orecchino di perla» di Vermeer a un ragazzo, forse gli racconto una storia diversa dalle ragazze che conosce e che magari si sfondano con sette bombe alcoliche in un «apericena».

Insomma Marco Goldin ha trovato la cifra (non solo quella economica) per comunicare l’arte e una voglia d’arte che prima non c’era. Benemerita l’attività del pubblico senza il quale non conoscerem­mo i patrimoni del Paese più ricco di bellezza al mondo. Ma straordina­riamente unica l’avventura di quel «ragazzo» che a trentacinq­ue anni, abbandonan­do le regioni della prima giovinezza, lungo la sua vertiginos­a Linea d’ombra è diventato imprendito­re con la materia più straordina­ria e difficile da plasmare, far scoprire, fruttare e diffondere: l’arte.

Il visionario L’«eresia» ventennale dell’intellettu­ale imprendito­re del Nordest e della sua «Linea d’ombra»

 ??  ??
 ??  ?? L’uomo e le mostre
Nato a Treviso nel 1961, Marco Goldin si è laureato nel 1985, all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Storia della critica d’arte. Nel dicembre 1996 ha fondato Linea d’ombra, società che si occupa, seguendone ogni aspetto, di...
L’uomo e le mostre Nato a Treviso nel 1961, Marco Goldin si è laureato nel 1985, all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Storia della critica d’arte. Nel dicembre 1996 ha fondato Linea d’ombra, società che si occupa, seguendone ogni aspetto, di...

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy