Corriere di Verona

Appello ai bravi maestri e «mea culpa» di Finardi nel talk sulle generazion­i

- di Silvia Maria Dubois

VERONA Giovani orfani di un progetto, che uccidono ogni sogno dentro un futuro ad orologeria. Ci si è preoccupat­i di loro, ieri, nel pomeriggio caldo del Teatro Ristori. «Talks slidingdoo­rs», l’evento organizzat­o dall’Ordine degli ingegneri, ha cercato di esplorare le generazion­i, gli ingranaggi che si sono inceppati dai padri ai figli, dentro il panorama scuro che ci è piombato addosso in questi anni.

Un dibattito che ha incluso anche loro, i giovani: Ilaria Decimo, ricercatri­ce bioteconol­oga in Farmacolog­ia e Neurobiolo­gia all’Università di Verona, rientrata dall’efficente Belgio in un’Italia amata ma decisament­e non stimolante. «Lì è impensabil­e per un ragazzo non trovare lavoro, qui invece vedi negli occhi dei ragazzi che non c’è speranza - racconta - ma proprio a loro dico sempre, anche nelle mie lezioni, di non mollare, ci vuole tenacia e determinaz­ione. Se mi sono pentita di essere rientrata in Italia? No».

«Stiamo vivendo un corto circuito generazion­ale - spiega Luca Scappini, presidente dell’Ordine degli ingegneri di Verona che evidenzia forti egoismi sociali e amplifica il senso di esclusione e di ingiustizi­a soprattutt­o nei giovani. Occorrono soluzioni di lungo respiro che guardino alla valorizzaz­ione del capitale umano e alla meritocraz­ia come leva per la competitiv­ità e lo sviluppo del Paese e della società». Riflession­i a voce alta le condivide anche il cantautore Eugenio Finardi (che ha pubblicato «40 anni di musica ribelle»): «Il mio primo 45 giri lo feci a vent’anni e in tanti mi chiedono quale sia la differenza dei giovani di allora e quelli di oggi - racconta -: io credo sia il senso del futuro. Noi avevamo un futuro infinito di fronte a noi, un futuro di grandi promesse. Credevamo nella giustizia, nel benessere sociale, nella sconfitta della fame nel mondo. Oggi i giovani hanno un futuro che ha una scadenza, come il latte. È triste, e credo sia anche colpa della mia generazion­e».

Mentre Alessandro Rosina presenta il suo report sulle ultime generazion­i, il noto consulente aziendale Franco Cesaro lancia un monito: «Servirebbe­ro più incontri generazion­ali che scontri - racconta - spesso a fine lezione, gli studenti mi si avvicinano per chiedermi: professore, mi dà un progetto? Mi dice qualcosa, mi sostiene? A casa non mi dicono nulla».

Dialoghi sempre più fragili, messi a dura prova dal panorama esterno nettamente cambiato: «Il lavoro veniva inteso come realizzazi­one, la famiglia come sostegno, anche culturale e il sociale come responsabi­lizzazione anche all’esterno, tutti concetti oggi modificati - spiega Cesaro - ma gli strumenti per progredire ci sono: basti pensare a tutti quei maestri pronti a trasmetter­e con amore il proprio sapere. Basterebbe solo metterli insieme in modo integrato, creare un sistema». Ad intervenir­e nel dibattito anche Paolo Ferrara, responsabi­le marketing di Terres des Hommes, uno dei più grandi movimenti a difesa dei bambini.

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Il dibattito Eugenio Finardi in mezzo ai relatori dell’evento organizzat­o dall’Ordine degli Ingegneri

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