Un viaggio dal quotidiano all’infinito
Ogni mostra di Marco Goldin è un viaggio. Lo è anche «Storie dell’impressionismo». Un sentiero, come quelli che il critico ama affrontare in bicicletta sulle salite della Pedemontana, un sentiero che si inerpica nel Bello. Non hanno bisogno di grandi presentazioni e neppure commenti i 140 dipinti della mostra di Santa Caterina, provenienti da grandi istituzioni internazionali, con una qualità indiscutibile: formano un itinerario intagliato da capolavori di alcuni dei decenni più emozionanti della storia dell’arte. Ogni sezione diventa una mostra a sé: attraversando le sale, ammirando insieme queste opere, è difficile non rimanere stupiti. Sono state scelte una per una con attenzione quasi maniacale, come per affermare il primato del curatore e la responsabilità di una selezione. La mostra, come le precedenti, ha una formula aperta: non si indirizza a studiosi o storici dell’arte (o meglio: non solo a studiosi e storici), ma è rivolta a tutti, senza snobismi e restrizioni. Come abbiamo osservato in passato, le mostre di Goldin presentano diversi livelli di lettura. Un viaggio significa attraversare paesaggi diversi. E queste «Storie» offrono anche paesaggi interiori. Partendo dalla pittura dei Salon agli esordi dell’impressionismo fino alla sua crisi, con lo scioglimento della figura fino alle soglie dell’astrazione, Goldin offre un percorso personale. Si inizia dalla realtà sotto i nostri occhi, dagli interni di Courbet e Degas, alla campagna di Renoir, alle nature morte ma mobili di Cézanne, fino alle visioni lisergiche di Van Gogh e alla dolce evaporazione della forma dell’ultimo Monet, ninfee quasi irriconoscibili. Il punto di partenza è la quotidianità. L’arrivo è l’infinito, il momento in cui si attraversa il varco che si affaccia nell’assenza. Come il cielo/mare dell’amato Guccione, uno dei protagonisti delle mostre sul ‘900: l’azzurro diventa una prateria dell’anima.