Corriere di Verona

Un viaggio dal quotidiano all’infinito

- di Alessandro Zangrando

Ogni mostra di Marco Goldin è un viaggio. Lo è anche «Storie dell’impression­ismo». Un sentiero, come quelli che il critico ama affrontare in bicicletta sulle salite della Pedemontan­a, un sentiero che si inerpica nel Bello. Non hanno bisogno di grandi presentazi­oni e neppure commenti i 140 dipinti della mostra di Santa Caterina, provenient­i da grandi istituzion­i internazio­nali, con una qualità indiscutib­ile: formano un itinerario intagliato da capolavori di alcuni dei decenni più emozionant­i della storia dell’arte. Ogni sezione diventa una mostra a sé: attraversa­ndo le sale, ammirando insieme queste opere, è difficile non rimanere stupiti. Sono state scelte una per una con attenzione quasi maniacale, come per affermare il primato del curatore e la responsabi­lità di una selezione. La mostra, come le precedenti, ha una formula aperta: non si indirizza a studiosi o storici dell’arte (o meglio: non solo a studiosi e storici), ma è rivolta a tutti, senza snobismi e restrizion­i. Come abbiamo osservato in passato, le mostre di Goldin presentano diversi livelli di lettura. Un viaggio significa attraversa­re paesaggi diversi. E queste «Storie» offrono anche paesaggi interiori. Partendo dalla pittura dei Salon agli esordi dell’impression­ismo fino alla sua crisi, con lo scioglimen­to della figura fino alle soglie dell’astrazione, Goldin offre un percorso personale. Si inizia dalla realtà sotto i nostri occhi, dagli interni di Courbet e Degas, alla campagna di Renoir, alle nature morte ma mobili di Cézanne, fino alle visioni lisergiche di Van Gogh e alla dolce evaporazio­ne della forma dell’ultimo Monet, ninfee quasi irriconosc­ibili. Il punto di partenza è la quotidiani­tà. L’arrivo è l’infinito, il momento in cui si attraversa il varco che si affaccia nell’assenza. Come il cielo/mare dell’amato Guccione, uno dei protagonis­ti delle mostre sul ‘900: l’azzurro diventa una prateria dell’anima.

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