Zonin, cinque ore di interrogatorio «Cda all’oscuro di molte scelte»
Interrogato l’ex presidente di PopVicenza. E la procura si prepara a chiudere l’indagine entro l’estate
Ieri l’ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, è stato interrogato. Avrebbe detto che molte decisioni venivano prese dalla direzione senza informare il Cda.
Un cappotto scuro, come il suo sguardo alla vista dei fotografi che lo aspettavano. Il viso stanco, dimagrito.
La giornata più difficile di Gianni Zonin è iniziata alle 9 di ieri quando una Mercedes con i vetri oscurati si è fermata davanti alla caserma che ospita il comando provinciale della Guardia di Finanza. Ne sono scesi l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza e uno dei suoi avvocati, Enrico Ambrosetti. L’altro legale, Nerio Diodà (lo stesso che difese Mario Chiesa all’epoca di Tangentopoli), li ha raggiunti poco dopo.
Ad attenderli c’erano i sostituti procuratori Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, che hanno iscritto sul registro degli indagati Zonin e altre otto persone per aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. L’inchiesta è quella che punta a far luce sulle presunte irregolarità di gestione che hanno trascinato l’istituto (e migliaia di azionisti) sull’orlo del baratro.
Per la prima volta, l’uomo che per quasi vent’anni ha guidato PopVicenza si è confrontato con i due magistrati e il comandante provinciale della Finanza, Crescenzo Sciaraffa. Un interrogatorio durato l’intera mattinata, durante il quale ha risposto a tutte le domande che gli sono state rivolte, a differenza della scena muta fatta dalla quasi totalità degli altri indagati (unica eccezione: l’ex presidente di Confindustria Veneto, Roberto Zuccato) già convocati nei mesi scorsi.
Per Zonin e i suoi legali, era l’occasione per respingere le ricostruzioni dell’accusa, provando a ribaltare lo scenario di mala-gestione emerso finora.
E, stando alle indiscrezioni trapelate, è ciò che hanno fatto ribadendo sostanzialmente la linea indicata lo scorso anno, quando il manager (in quell’occasione era assistito dagli avvocati Francesco Benatti e Lamberto Lambertini) ha depositato al Tribunale civile di Venezia un atto di citazione contro la sua ex banca. Oltre a rivendicare i risultati ottenuti fino al 2008 (quando iniziò la crisi che ha messo alla prova diversi istituti), Zonin ha puntato il dito contro la direzione dell’istituto di credito, che all’epoca era rappresentata dal dg Samuele Sorato e dal vice Emanuele Giustini (entrambi indagati). Molte operazioni - è la tesi dell’ex presidente della Popolare - sono state decise dal top manager senza neppure informare il Consiglio di amministrazione. «Non sono stato io a fare quelle scelte», avrebbe ripetuto a più riprese.
La difesa sembra puntare molto sulla relazione degli organi di vigilanza che, analizzando la gestione dell’istituto di credito, attribuiva alla direzione generale «comportamenti connotati da colpa grave se non addirittura da dolo», mentre nei confronti dei componenti del Cda si limitava a indicare dei «gravi profili di responsabilità» per essere «rimasti colpevolmente inerti».
La questione non è di poco conto, e sta tutta nella distinzione giuridica tra «colpa» e «do-
La difesa Zonin avrebbe ribadito che molte scelte venivano prese dalla direzione generale
Le accuse Magistrati e Finanza stanno vagliando le denunce presentate da oltre 2mila azionisti
lo». Perché un conto è dire che Zonin avrebbe promosso una gestione illecita della banca, tutt’altro è sostenere che non abbia fatto nulla per impedirlo, magari semplicemente perché tenuto all’oscuro delle manovre di Sorato. E c’è un passaggio, nel dossier della Consob, ritenuto fondamentale dagli avvocati: «Non risultano evidenze che essi (i componenti del Cda,
ndr) fossero a conoscenza dell’attività svolta dalle strutture commerciali».
Se poi questo basti a far cambiare idea ai sostituti procuratori e ai finanzieri che indagano sull’attività del vecchio management dell’istituto, resta da vedere. Di certo, cinque ore dopo aver messo piede in Caserma, l’ex presidente è risalito sull’auto che l’ha riportato a casa. «Non ho niente da dire, nessun commento». Anche l’avvocato Ambrosetti è stato di poche parole: «È andata bene, ha risposto a tutte le domande». Nient’altro.
Sul fronte investigativo, l’interrogatorio di Zonin rappresenta comunque un punto di svolta. La procura si prepara a chiudere l’inchiesta entro l’estate, e non è escluso che le dichiarazioni rese ieri offrano nuovi spunti investigativi. Intanto, c’è da far fronte alle denunce presentate da oltre duemila azionisti che hanno visto il valore dei loro titoli crollare da 62,5 euro ad appena 10 centesimi.
In mano ai pm, c’è una mole impressionante di documenti, in parte «ereditati» dalle altre procure che, nei mesi scorsi, avevano aperto dei fascicoli d’indagine: Udine, Prato e Catanzaro.
E ora che Zonin ha parlato, la prossima mossa spetta di nuovo ai magistrati.