Corriere di Verona

Zonin, cinque ore di interrogat­orio «Cda all’oscuro di molte scelte»

Interrogat­o l’ex presidente di PopVicenza. E la procura si prepara a chiudere l’indagine entro l’estate

- Di Andrea Priante

Ieri l’ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, è stato interrogat­o. Avrebbe detto che molte decisioni venivano prese dalla direzione senza informare il Cda.

Un cappotto scuro, come il suo sguardo alla vista dei fotografi che lo aspettavan­o. Il viso stanco, dimagrito.

La giornata più difficile di Gianni Zonin è iniziata alle 9 di ieri quando una Mercedes con i vetri oscurati si è fermata davanti alla caserma che ospita il comando provincial­e della Guardia di Finanza. Ne sono scesi l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza e uno dei suoi avvocati, Enrico Ambrosetti. L’altro legale, Nerio Diodà (lo stesso che difese Mario Chiesa all’epoca di Tangentopo­li), li ha raggiunti poco dopo.

Ad attenderli c’erano i sostituti procurator­i Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, che hanno iscritto sul registro degli indagati Zonin e altre otto persone per aggiotaggi­o e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. L’inchiesta è quella che punta a far luce sulle presunte irregolari­tà di gestione che hanno trascinato l’istituto (e migliaia di azionisti) sull’orlo del baratro.

Per la prima volta, l’uomo che per quasi vent’anni ha guidato PopVicenza si è confrontat­o con i due magistrati e il comandante provincial­e della Finanza, Crescenzo Sciaraffa. Un interrogat­orio durato l’intera mattinata, durante il quale ha risposto a tutte le domande che gli sono state rivolte, a differenza della scena muta fatta dalla quasi totalità degli altri indagati (unica eccezione: l’ex presidente di Confindust­ria Veneto, Roberto Zuccato) già convocati nei mesi scorsi.

Per Zonin e i suoi legali, era l’occasione per respingere le ricostruzi­oni dell’accusa, provando a ribaltare lo scenario di mala-gestione emerso finora.

E, stando alle indiscrezi­oni trapelate, è ciò che hanno fatto ribadendo sostanzial­mente la linea indicata lo scorso anno, quando il manager (in quell’occasione era assistito dagli avvocati Francesco Benatti e Lamberto Lambertini) ha depositato al Tribunale civile di Venezia un atto di citazione contro la sua ex banca. Oltre a rivendicar­e i risultati ottenuti fino al 2008 (quando iniziò la crisi che ha messo alla prova diversi istituti), Zonin ha puntato il dito contro la direzione dell’istituto di credito, che all’epoca era rappresent­ata dal dg Samuele Sorato e dal vice Emanuele Giustini (entrambi indagati). Molte operazioni - è la tesi dell’ex presidente della Popolare - sono state decise dal top manager senza neppure informare il Consiglio di amministra­zione. «Non sono stato io a fare quelle scelte», avrebbe ripetuto a più riprese.

La difesa sembra puntare molto sulla relazione degli organi di vigilanza che, analizzand­o la gestione dell’istituto di credito, attribuiva alla direzione generale «comportame­nti connotati da colpa grave se non addirittur­a da dolo», mentre nei confronti dei componenti del Cda si limitava a indicare dei «gravi profili di responsabi­lità» per essere «rimasti colpevolme­nte inerti».

La questione non è di poco conto, e sta tutta nella distinzion­e giuridica tra «colpa» e «do-

La difesa Zonin avrebbe ribadito che molte scelte venivano prese dalla direzione generale

Le accuse Magistrati e Finanza stanno vagliando le denunce presentate da oltre 2mila azionisti

lo». Perché un conto è dire che Zonin avrebbe promosso una gestione illecita della banca, tutt’altro è sostenere che non abbia fatto nulla per impedirlo, magari sempliceme­nte perché tenuto all’oscuro delle manovre di Sorato. E c’è un passaggio, nel dossier della Consob, ritenuto fondamenta­le dagli avvocati: «Non risultano evidenze che essi (i componenti del Cda,

ndr) fossero a conoscenza dell’attività svolta dalle strutture commercial­i».

Se poi questo basti a far cambiare idea ai sostituti procurator­i e ai finanzieri che indagano sull’attività del vecchio management dell’istituto, resta da vedere. Di certo, cinque ore dopo aver messo piede in Caserma, l’ex presidente è risalito sull’auto che l’ha riportato a casa. «Non ho niente da dire, nessun commento». Anche l’avvocato Ambrosetti è stato di poche parole: «È andata bene, ha risposto a tutte le domande». Nient’altro.

Sul fronte investigat­ivo, l’interrogat­orio di Zonin rappresent­a comunque un punto di svolta. La procura si prepara a chiudere l’inchiesta entro l’estate, e non è escluso che le dichiarazi­oni rese ieri offrano nuovi spunti investigat­ivi. Intanto, c’è da far fronte alle denunce presentate da oltre duemila azionisti che hanno visto il valore dei loro titoli crollare da 62,5 euro ad appena 10 centesimi.

In mano ai pm, c’è una mole impression­ante di documenti, in parte «ereditati» dalle altre procure che, nei mesi scorsi, avevano aperto dei fascicoli d’indagine: Udine, Prato e Catanzaro.

E ora che Zonin ha parlato, la prossima mossa spetta di nuovo ai magistrati.

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L’ex presidente BpVi, Gianni Zonin, al suo arrivo in caserma ieri mattina. Davanti a lui, l’avvocato Enrico Ambrosetti
(foto Optimabran­d) L’arrivo in caserma L’ex presidente BpVi, Gianni Zonin, al suo arrivo in caserma ieri mattina. Davanti a lui, l’avvocato Enrico Ambrosetti
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