Corriere di Verona

Ivan il regista e il film con il Chievo «Il mio futuro è qui»

- Matteo Sorio

«Da piccolo, a Belgrado, mio papà mi portava al parco della scuola. Sul muro c’erano disegni, nomi, numeri. Mi diceva: hai tre giorni per imparare a colpire quella scritta là col destro e col sinistro, se ci riesci ti compro le scarpe nuove… Al terzo giorno, scattava la verifica». Le ossa, palla al piede, Ivan Radovanovi­c, regista indiscusso del Chievo di Rolly Maran, se l’è fatte così. «E ora, dopo quattro anni al Chievo, mi sento molto migliorato, col palleggio». Vero: 24esimo turno, Sassuolo-Chievo, 80 passaggi giusti su 90 e 15 lanci giusti su 18, record di giornata in A, unico centrocamp­ista nella top ten domenicale. «Ho preso fiducia giocando. E Maran, ch’è bravissimo, da quest’anno vuole più possesso palla. Mi aiuta anche Birsa, che s’abbassa quando mi marcano stretto». Il Chievo marca stretto quest’umile ragazzo serbo di 28 anni, contratto fino al 2019, 117 gare in A col gialloblù, le 100 tagliate proprio in questa stagione. «Tre partite? Il derby vinto con Lazarevic al ’93, UdineseChi­evo del 2014 col mio primo gol gialloblù, il 2-0 sull’Inter di quest’anno». Spirituale («vado in chiesa, Gesù tatuato sul braccio sinistro»), fan del collega De Rossi («grinta intatta nel tempo»), in Italia dal 2008 («la grande sfida, venendo dalle robuste colazioni serbe, è stata resistere alla tentazione brioche-cappuccino»), Radovanovi­c è figlio calcistico della poliedrica Serbia: «Siamo dei talentuosi. Nel basket, Divac e Djordjevic. Nel volley i fratelli Grbic, Nikola che oggi allena Verona e Vladi. Nel tennis, Djokovic. Parte tutto dalla scuola: il lunedì calcio, martedì pallanuoto, mercoledì pallamano, giovedì ping-pong, venerdì pallacanes­tro… Ti fanno provare tutto. Dovrebbe funzionare così ovunque: è l’unico modo per scegliere la propria via maestra». Via maestra di Radovanovi­c, il Chievo. «Cioè la maturità come giocatore ma soprattutt­o come uomo, marito, padre. Mia figlia ha 5 mesi, è nata qui e qui ho comprato casa. Amo la Serbia ma il futuro lo vedo a Verona». Verona per Radovanovi­c. «C’è stato un momento in cui ho pensato di tornare a casa. Ero al Pisa di Ventura, oggi ct dell’Italia. Club in crisi, niente stipendi, io tutto solo, nessuno parlava la mia lingua e con la Serbia fuori dall’Ue la famiglia poteva venire raramente. Mi chiedevo: ma dove sono? L’energia me l’ha data il pensiero di me che gioco a calcio dall’età di 5 anni. Poi il Chievo, nel 2013, m’ha dato la fiducia che aspettavo». Oggi aspetta un secondo gol, Radovanovi­c. «Devo avvicinarm­i alla porta. Anche se per un regista è delicato: non vuoi mai scoprirti troppo, badi a proteggere la difesa».

La difesa clivense, terra per eccellenza degli Over 30. «Sono

Ivan Radovanovi­c Gli attaccanti del Chievo li vorrei sempre con me Magari segnano poco, ma si sfiancano a fare pressing

un po’ più giovane e la loro esperienza la “sento”, quando gioco. Ti danno sicurezza. E parlano molto, soprattutt­o Cesar, il che è fondamenta­le».

Nel lavoro di Radovanovi­c, oggi, sono fondamenta­li fisico e attaccanti. «Il fisico, perché nel calcio d’oggi i contrasti sono il pane. Gli attaccanti, perché se pressano ti aiutano a recuperare palla». È il quinto di A, Radovanovi­c, per palloni recuperati. «Ripeto, gli attaccanti. Quelli del Chievo li vorrei sempre con me: se segnano poco è perché si sfiancano in pressing fino a sacrificar­e un po’ di lucidità sotto porta…».

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