Corriere di Verona

Ecco «Ritratto d’uomo» L’avventuros­a storia della scultura di Martini

- Isabella Panfido

Non ha percorso tanta strada per arrivare nella sede che ora la ospita, la splendida opera di Arturo Martini, intitolata Ritratto d’uomo, accolta e celebrata ieri da una conferenza del professor Nico Stringa, studioso autorevole delle opere martiniane. Era rimasta per un centinaio d’anni dimenticat­a su un’alto ripiano di una autorimess­a cittadina, proprietà consapevol­e ma poco accudita di una famiglia trevigiana.

Ora è stata acquistata dal Museo Bailo per entrare a far parte della più ricca collezione pubblica di opere – tra sculture, ceramiche, incisioni e disegni - dello scultore, morto proprio il 22 marzo del 1947.

L’opera, un gesso del 1910, portava evidenti segni di degrado superficia­le, a causa di uno spesso strato di sporco depositato­si sulla patina bianca del manufatto; grazie all’attento restauro di Pino Dinetto, finanziato dall’associazio­ne Amici dei Musei di Treviso, la «pelle» martiniana è tornata a rilucere. L’opera ritrovata, che ora si può ammirare proprio accanto alla scultura «gemella» – per dimensioni, periodo e stile – denominata L’ubriaco, fu creata da Martini, quando, al ritorno da Monaco, dove aveva conosciuto l’arte della secessione, riversa entusiasmo e esperienza dell’arte nuova in opere dal forte effetto espression­ista. Sono quelli gli anni del sodalizio artistico e esistenzia­le con Gino Rossi che con la sua pittura innovativa, radicale per struttura compositiv­a dal formidabil­e effetto plastico, influirà sensibilme­nte sulla poetica martiniana, influenza ricusata in seguito da Martini. La coppia di teste esposte al Bailo, coeve, sono infatti da accreditar­si alla suggestion­e esercitata su Martini dalla mostra organizzat­a da Barbantini a Ca’ Pesaro, dove erano esposti capolavori di Gino Rossi quali La fanciulla con il fiore e Il muto. Rossi e Martini, legati anche dall’anno della morte, il 1947, sono ricordati da Giovanni Comisso nel romanzo I due compagni del 1936 – ora ripubblica­to da Santi Quaranta editore: due destini

artistici paralleli, due uomini «contro», segnati dalla ribellione al classicism­o, dalla insofferen­za al gusto comune, da una vaga vena anarchica.

La vita destinerà a Rossi una sorte terribile: vent’anni di degenza manicomial­e e di abbandono e il silenzio, anzi il mutismo artistico. Per Martini invece il successo arriverà con il fascismo: molte commesse pubbliche per la sua arte che aveva elaborato uno stile personalis­simo, illuminato dalla riscoperta della statuaria etrusca, improntato alla costante ricerca formale – per citare parole dello scultore oggi ritenuto tra i più geniali del Novecento – «di raggiunger­e l’equilibrio attraverso lo squilibrio».

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Volumi Il «Ritratto d’uomo» di Arturo Martini (Balanza)

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