Corriere di Verona

Zonin reinterrog­ato per oltre sette ore «Le baciate non sono state un’idea mia»

L’ex presidente Bpvi ripercorre la storia della banca e continua a scaricare le colpe sull’ex dg Sorato

- Andrea Priante

Sette ore di interrogat­orio. «Sette ore per ricostruir­e la storia della banca», per dirla con le parole di Enrico Ambrosetti, uno degli avvocati che ieri hanno assistito Gianni Zonin nella sua lunghissim­a deposizion­e. Più concretame­nte, sette ore per ricostruir­e quella che fu la “vera” catena di comando della Banca Popolare di Vicenza, almeno secondo l’ex presidente.

Zonin è arrivato al comando provincial­e della Guardia di finanza alle 10 del mattino accompagna­to, oltre che da Ambrosetti, dal legale milanese Nerio Diodà. Ad attenderlo c’erano i due sostituti procurator­i titolari dell’inchiesta, Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, oltre al colonnello delle fiamme gialle vicentine, Crescenzo Sciaraffa. Le accuse restano le stesse, che riguardano lui come gli altri otto indagati: aggiotaggi­o e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. E il racconto reso dall’uomo che per quasi vent’anni ha guidato l’istituto di credito, è ripartito dalla deposizion­e di mercoledì, quando era rimasto cinque ore di fronte ai magistrati.

«Anch’io ho perso molti soldi», ha tenuto a dire Zonin, quasi a voler dimostrare di non aver mai neppure sospettato l’imminente tracollo. I numeri sono noti: possiede 51.920 azioni, mentre ai familiari ne sono riconducib­ili altre 319.839. In tutto fanno 371.759 titoli il cui valore è passato da un massimo di 62,5 euro, ad appena 10 centesimi ciascuno.

Ma stavolta l’interrogat­orio ha toccato anche un altro tema-chiave dell’inchiesta: le “operazioni baciate”, cioè l’acquisto di azioni attraverso finanziame­nti concessi dall’istituto di credito. Lo stesso metodo (che serviva a favorire l’aumento di capitale o la compravend­ita di azioni già esistenti) che venne utilizzato, seppure in misura minore, anche a sinistra. l’ex presidente della Bpvi Gianni Zonin all’uscita del secondo colloquio con i magistrati. Sopra i Pm Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi dall’altra ex Popolare al centro di un’indagine della magistratu­ra: Veneto Banca. Ma se l’ex direttore generale dell’istituto di Montebellu­na Vincenzo Consoli ha sempre sostenuto che, almeno fino al 2014, le baciate fossero legittime visto che le Autorità di vigilanza non avevano mai sostenuto il contrario, ieri Gianni Zonin ha scelto una strada diversa. L’ex presidente non mette in discussion­e il fatto che questo genere di operazioni siano irregolari, ma dice chiarament­e di non averle mai autorizzat­e. A promuoverl­e, semmai, sarebbero state «alcune strutture interne» che agivano tenendo all’oscuro il Consiglio di amministra­zione. Così, ancora una volta, si ritrova a puntare il dito contro la direzione generale: era Samuele Sorato a spingere gli uffici commercial­i a vendere i titoli ad ogni costo, anche attraverso «operazioni occulte». Il Cda – è la tesi di Zonin – non faceva altro che prendere atto di ciò che diceva l’ex dg, cioè che le procedure per l’aumento di capitale avvenivano nel rispetto delle norme.

A questo punto, la strategia di difesa dell’ex presidente è chiara: «Non potevo sapere delle “baciate” perché nessuno ne ha mai informato il Consiglio». In questo modo solleva da ogni responsabi­lità se stesso ma anche gli altri componenti del Cda finiti sotto inchiesta. Il tutto, con buona pace di Sorato che continua a ripetere che c’era proprio l’ex presidente dietro ad ogni decisione strategica.

La procura di Vicenza si è sempre detta convinta che Zonin «non potesse non sapere» ciò che avveniva nella banca, specie in occasione di operazioni fondamenta­li per il futuro e la sopravvive­nza dell’istituto. Resta da capire se le spiegazion­i fornite negli interrogat­ori di mercoledì e di ieri, durati complessiv­amente dodici ore, bastino a mutare il quadro accusatori­o. Alle 17 l’ex presidente ha lasciato la caserma, sempre scortato dai suoi avvocati. Neppure una parola ai giornalist­i che lo aspettavan­o all’uscita. Gli scatti dei fotografi lo mostrano mentre risale in auto con il viso provato dalla tensione e una cartellina di documenti in mano. Mezzora più tardi, dal portone hanno fatto capolino anche i magistrati. Spetterà a loro, e ai finanzieri di Vicenza, il compito di valutare l’attendibil­ità delle dichiarazi­oni rese questa settimana da Zonin. «Ha detto tutto ciò che sapeva – assicura l’avvocato Enrico Ambrosetti non credo saranno necessari altri interrogat­ori». Probabilme­nte ha ragione: ora i pm hanno in mano quasi tutti gli elementi e dovrebbero chiudere l’inchiesta entro l’estate.

L’avvocato Ha detto tutto ciò che sapeva Non sarà ascoltato ancora

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Nuovo interrogat­orio
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