Corriere di Verona

Da Pellestrin­a a Israele Kadima, storia della nave che salvò 795 ebrei

Salpò nel 1947, arrivò a destinazio­ne tre mesi dopo

- Fabio Bozzato

Lea Taragan aveva otto anni il 5 novembre 1947, mentre lasciava il piccolo molo a Pellestrin­a sulla nave Kadima. Destinazio­ne Palestina. Il capitano, un ventunenne di nome Zev Rotem, aveva calcolato un paio di settimane di navigazion­e. Sarebbero andati lenti, perché non era che un vecchio pescherecc­io rabberciat­o, nato come «Rafael Luccia». La nave era piena oltre misura. Il capitano aveva contato 794 persone. In realtà sarebbero scesi in 795, compreso un neonato. Chi erano? Tutti ebrei, tutti clandestin­i. L’amministra­zione coloniale inglese impediva infatti da tempo l’arrivo di immigrati ebrei in Palestina. Quel viaggio, Lea Taragan se lo ricorda ancora. È una storia poco conosciuta quella dell’immigrazio­ne ebraica clandestin­a, fatta di carrette del mare che solcavano il Mediterran­eo e sbarcavano furtive, semmai riuscivano a evitare la marina inglese. Sarebbe

successo così fino al 14 maggio 1948, giorno in cui Israele issò la stella di David dell’indipenden­za.

Ora una mostra fotografic­a riprende il filo di quella storia che torna alla ribalta anche grazie ai tanti e sconcertan­ti rimandi con l’attualità. L’iniziativa è del Museo Ebraico di Venezia: «Kadima-Avanti. Da Pellestrin­a alla Terra Promessa» (fino al 28 maggio), avrà un prologo domani (ore 10.00) al porticciol­o di Pellestrin­a, là da dove la Kadima era partita. Dall’isola lagunare alla fine saranno tre le navi a salpare tra il 1946 e il 1948. Oltre alla Kadima, la Gush Lezion e la Wingate. In tutto quasi 1200 ma’pilin, gli ebrei immigrati, passarono da qui. Dall’intera Europa fuggirono in 70 mila tra il 1934 e il 1948, in quella che viene chiamata Aliya Bet, cioè il ritorno, ma tutto illegale.

Per poterlo fare, si era messa in moto una macchina organizzat­iva guidata dalla Keren Hayesod, il braccio operativo dell’Agenzia Ebraica. Tutt’ora attivissim­a, è diventata Istituzion­e nazionale in Israele e in Italia sotto forma di Onlus. «A fine guerra decine di migliaia di profughi, soprattutt­o ragazzi, vagavano per l’Europa – racconta il direttore italiano, Andrea Jarach, co-promotore della mostra – Gli attivisti dell’Agenzia Ebraica cominciaro­no a convogliar­li verso i punti di ritrovo e da qui ai porti».

Lea Taragan veniva dalla Romania. Il padre era sopravviss­uto a quattro anni di lavori forzati. Accettò di partire con moglie e figlia. In Italia alla guida delle operazioni c’era Ada Sereni. Era tornata qui per cercare il marito Enzo, che nel frattempo era morto a Dachau. Ci rimase per organizzar­e un ritorno illegale di massa.

«Le autorità chiusero tutti e due gli occhi - ricorda lo storico Yehoshua Amishav - E la popolazion­e civile rispose con grande solidariet­à». Così successe a Porto Santa Margherita, centro di raccolta. A Chioggia, tra i pescatori. A Pellestrin­a, porto discreto da dove partire. Ma che fine fece la Kadima? Intercetta­ta dalle motovedett­e inglesi fu accompagna­ta ad Haifa. E da qui a Cipro. I 795, compresa Lea Taragan, toccarono le spiagge di Tel Aviv solo tre mesi dopo. Era già Israele. Ed era già in guerra per sopravvive­re.

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Verso la Terra Promessa Kadima, la nave che nel novembre 1947 salpò dal molo di Pellestrin­a

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