Corriere di Verona

Mose, tre filoni aperti dopo il verdetto del processo

Le piste ancora aperte dopo la sentenza. E a San Marino in aula Baita e Minutillo

- Di Alberto Zorzi

Dopo il verdetto del «processo Mose», sono tre i filoni ancora aperti. Il più avanzato è quello che riguarda le imprese del Consorzio. Poi toccherà ai «grandi accusatori». Infine l’inchiesta sui «cassoni».

«Indica in giorni novanta il termine per il deposito delle motivazion­i». Le ultime parole del dispositiv­o letto in aula giovedì sera dal giudice Stefano Manduzio hanno messo la parola fine – dopo 32 udienze e a oltre tre anni dagli arresti del 4 giugno 2014 – al cosiddetto «processo Mose», la vera sfida in aula tra l’accusa e le difese degli otto imputati che hanno deciso di andare al dibattimen­to. Ma di Mose nelle aule giudiziari­e si parlerà ancora e non solo perché di sicuro coloro che sono stati condannati, in primis l’ex ministro Altero Matteoli (4 anni per corruzione), faranno appello contro la sentenza. E non solo perché l’ex governator­e della Regione Veneto Giancarlo Galan, attraverso i suoi avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, ha annunciato subito che le assoluzion­i disposte dai giudici, in particolar­e quelle dell’ex eurodeputa­ta Amalia Sartori e dell’architetto Danilo Turato, aprono la porta a una possibile istanza di revisione del processo. Ci sono infatti tre filoni ancora aperti, nonostante la sentenza di giovedì e gli oltre trenta indagati, tra cui lo stesso Galan, che avevano patteggiat­o nel 2014.

Il primo, perché è quello in fase più avanzata, è quello nei confronti del Consorzio Venezia Nuova e delle imprese che lo compongono per la cosiddetta «responsabi­lità amministra­tiva». Secondo una legge del 2001, infatti, l’ente che non abbia adottato le necessarie contromisu­re per evitare che i suoi manager possano commettere dei reati (per esempio gli organismi di vigilanza interni) deve pagare una sanzione. L’inchiesta riguarda il Consorzio, che è deciso a contrastar­e l’accusa dei pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, dopo esserne stato uno dei principali alleati nel processo appena concluso in cui era costituito parte civile; sul banco degli imputati anche le imprese Mantovani, Adria Infrastrut­ture, Grandi Lavori Fincosit, cooperativ­a San Martino, Nuova Coedmar, Condotte e Tecnostudi­o. Buona parte di loro dovrebbe patteggiar­e, tranne appunto il Cvn e quest’ultima, la società dell’architetto Turato, che punta a un’altra assoluzion­e dopo quella del processo. Per tutte le aziende la contestazi­one riguardava le retrocessi­oni in denaro al Cvn guidato allora da Giovanni Mazzacurat­i per poi pagare le tangenti agli ex presidenti del Magistrato alle Acque Patrizio Cucciolett­a e Maria Giovanna Piva (scagionata giovedì, ma anche grazie alla prescrizio­ne di buona parte delle accuse), a Galan e al suo assessore Renato Chisso e al generale Emilio Spaziante.

A breve dovrebbero invece finire di fronte al giudice i «grandi accusatori», dall’ex presidente di Mantovani Piergiorgi­o Baita al suo ex direttore finanziari­o Nicolò Buson, dall’ex ad di Adria Infrastrut­ture Claudia Minutillo al referente del Coveco (le coop «rosse») nel Cvn, Pio Savioli. A luglio la procura ha chiuso le indagini, rimaste aperte proprio in attesa delle loro testimonia­nze in aula, e a breve dovrebbe essere presentata la richiesta di rinvio a giudizio. L’esito naturale dovrebbe essere il patteggiam­ento, visto che sono tutti rei confessi, ma la situazione è più complicata del previsto. Minutillo e Buson, per esempio, non ci stanno a finire nel tritacarne dei corruttori tout court e a patteggiar­e su tutto. L’ex dark lady di Palazzo Balbi, quando era segretaria di Galan, ha già chiesto di essere sentita («per precisazio­ni», dice il suo avvocato Carlo Augenti), mentre l’avvocato di Buson, Fulvia Fois, sta lavorando a una memoria. Anche perché di mezzo, oltre alle responsabi­lità, ci sono da valutare i calcoli sulla prescrizio­ne e anche il rischio di confische. In realtà Buson, così come Baita, ha un destino segnato da due episodi di corruzione che sarebbero avvenuti dopo la legge Severino e dunque con una prescrizio­ne divenuta decennale: il bonifico di 500 mila euro a Cucciolett­a, avvenuto il 15 gennaio 2013, e la tangente in consiglio regionale a Chisso del 13 febbraio 2013, alla cui provvista partecipò anche Savioli. Prescrizio­ne nel 2023, dunque lontanissi­ma. Savioli è poi indagato anche nel terzo filone, che riguarda la «Mose 6 Srl», la consortile composta da coop San Martino e l’altra coop veneziana Clea, che ha realizzato i cassoni di Chioggia. Il prezzo degli enormi manufatti di calcestruz­zo – a cui saranno agganciate le dighe mobili vere e proprie del Mose, cioè le paratoie – era infatti stato gonfiato di 500 mila euro, che poi venivano retrocessi per metà proprio a Savioli e a Stefano Tomarelli, uomo di Condotte e da lì distribuit­i in vari rivoli, tra cui anche quello politico. Era stato lo stesso Savioli, sentito il 14 luglio 2014 (dunque dopo gli arresti) a dire che una parte di quei soldi venivano usati per finanziare la politica, in particolar­e il Pd. Gli indagati di questo filone sarebbero una decina e il reato contestato è quello di frode fiscale per l’emissione di fatture false.

Infine c’è un quarto processo in corso, anche se dall’esito dubbio. Baita, Minutillo e il faccendier­e William Colombelli, il cui arresto del 28 febbraio 2013 per le frodi fiscali a San Marino diede una svolta alle indagini grazie alle successive confession­i, sono sotto accusa proprio nel paese del Titano, anche se i loro avvocati sostengono che quel processo sia illegittim­o, in quanto per quei fatti hanno già patteggiat­o la pena in Italia.

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