Corriere di Verona

NORDEST, VISIONE CERCASI

- di Paolo Costa

La Fondazione Nordest non è un «luogo» di ricerca qualsiasi. Forse è scarsament­e percepibil­e, e percepito, dal grande pubblico. Ma è lo strumento, il simbolo, con il quale la borghesia industrial­e ed agraria veneta e nordestina si è riconosciu­ta, interpreta­ta, proiettata nel futuro - e continuame­nte documentat­a - negli anni del successo; quelli nei quali, grazie all’integrazio­ne nell’Unione Europea il «piccolo è bello» nordestino si affermava sui mercati continenta­li: con qualche impresa divenuta poi più grande e il miracolo dei distretti industrial­i. Non è nemmeno, malinconic­amente, una causa qualsiasi quella alla base della sua crisi. La Fondazione Nordest rischia (ha rischiato?) la chiusura per il venir meno del contributo concesso da Veneto Banca. Piccolo esempio di cosa voglia dire aver perso l’autonomia nella gestione del risparmio regionale,che nessun referendum alla Zaia ci ridarà. Veneto Banca e Popolare Vicenza ci sono scivolate di mano senza che Veneto e Nordest battessero un solo colpo da classe dirigente, non solo politica. Incapaci perfino di provare a sostenere il progetto che Gianni Mion aveva generosame­nte preparato.

La chiusura della Fondazione Nord Est è un errore da evitare.

Magari ricordando quelli analoghi compiuti dalla Regione del Veneto, che alla fine degli anni settanta si disfò dell’Irsev, un gioiello di istituto regionale di ricerca.

Odal Comune di Venezia e dagli altri enti locali veneziani, che, più recentemen­te, si sono disfatti del CoSES, un gioiello di istituto di analisi urbana. Il risultato è che la Regione non ha più uno straccio di piano di sviluppo, di piano territoria­le di coordiname­nto, di piano di trasporti, etc., né tanto meno delle analisi che ne sono i necessari presuppost­i, rispetto ai quali confrontar­e le sue politiche; e Venezia affronta decisioni cruciali per un futuro diverso dall’altrimenti ineluttabi­le soffocamen­to da turismo senza nemmeno sapere quanti siano oggi i suoi occupati in Centro storico rispetto a quelli di Mestre. Il Veneto e il Nordest, le loro istituzion­i e forze economiche e sociali, non possono affrontare senza i necessari strumenti il post «grande recessione», dalla quale sono usciti con una cesura profonda tra vincenti, affermatis­i sulla scena globale e meno tali, che si aggrappano al fondo del barile della mano pubblica, magari sperando (illudendos­i) di poter essere autorizzat­i dallo Stato a trattenere nel Veneto un po’ più delle tasse pagate dai vincenti. Naturalmen­te non è la Fondazione che può assicurare lo sviluppo dell’area. Ma istituzion­i e imprese che accettino la sfida globale dimostrere­bbero, anche usando Fondazione Nordest, di voler uscire dalla navigazion­e a vista, che non promette nulla di buono. A meno di non dover ammettere che «C’era una volta il Nordest». Dando ragione al titolo del libro di Jori e Riccamboni sui testi di Giorgio Lago o al più inquietant­e romanzo di Stefano Zattera: entrambi suggerenti l’idea che «quel» Nordest, più vagheggiat­o che realizzato, oggi non c’è più.

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