«I grillini? Bravi ma poco attenti alle imprese»
Colomban, un veneto assessore a Roma: «A fine mese torno»
Andata e ritorno: dal suo Veneto («voterò sì al referendum per l’autonomia») a Roma («burocrazie, leggi interpretabili in mille modi, vizi: sì, c’è anche quello, ma ci sono anche le poche risorse dallo Stato») passando per il M5S («è fatto di giovani onesti, l’unico cruccio è che lì come nei partiti c’è poca sensibilità verso le imprese»). A Negrar, nella Valpolicella veronese, Villa Mosconi Bertani, ospite del quarto incontro del «Ciclo del Bello» organizzato da Ance Veneto Giovani, Massimo Colomban, l’imprenditore trevigiano di Permasteelisa (multinazionale dell’edilizia) e di Quaternario Investimenti (immobiliare, settore club house alberghi di lusso) ci arriva nel tardo pomeriggio, direttamente dalla capitale («in treno») e dalla conferenza stampa sul Piano per la riorganizzazione delle partecipate del Comune di Roma, da 31 a 11 e un risparmio di 90 milioni. «A fine mese chiudo con l’esperienza di assessore a Roma, come d’accordi col M5S: ho 68 anni di cui 54 passati a lavorare, volevano che rimanessi ma non posso vendere la mia vita alla politica».
Difficile, specie se, come nel caso di Colomban, sei un imprenditore che, per un po’, ha visto da vicino quel «sistema politico italiano ch’è contro l’idea delle attività produttive e tassa anche al 70% la mucca che gli dà il latte, cioè le imprese». Era il 30 settembre 2016 e il sindaco di Roma, Virginia Raggi, eletta col M5S, chiamava Colomban come assessore alle Partecipate pubbliche. Oggi, Colomban s’appresta a chiudere l’esperienza romana. A Negrar si parla del valore economico e sociale del recupero edilizio di centri, borghi, piazze, edifici storici come le ville venete. Ci sono Giulio Muratori, responsabile veneto del Fai Ambiente, il soprintendente di Verona, Rovigo e Vicenza, Fabrizio Magani, l’imprenditore e architetto Matteo Corazza, il direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello, e poi lui, appunto, Colomban, autore peraltro del recupero e valorizzazione di Castelbrando a Cison di Valmarino, nel Trevigiano. Chiaro: Roma diventa subito argomento, con lui, che resta comunque abbottonato perché l’impegno col M5S non è ancora esaurito. La premessa, però, volendo, dice già molto: «Il federalismo è l’unica maniera per cambiare un po’ le cose, in Italia. Se centralizzi tutto, il Paese non funziona. Su Roma, nell’agire, si è fatta una comparazione con le altre città: c’è personale in più, nelle partecipate e nel Comune, diciamo rispettivamente +15% e +30%, quindi poca produttività ma, attenzione, le risorse procapite di Roma sono la metà rispetto a Milano. Per cui, a un certo punto, ho chiesto al governo: se qui prima hanno fatto un buco di 15 miliardi, adesso li volete strozzare? Ce la stiamo mettendo tutta – spiega Colomban – oltre alla riduzione delle partecipate volevo creare un sistema che incentivasse i dirigenti e la meritocrazia, con premi per i dipendenti che fanno veramente meno assenze, però è fondamentale che il governo si renda conto delle risorse che mancano, a Roma».
Il M5S, allora: «Giovani onesti, un grande sognatore come Grillo che trascina le folle. Non stoppiamo questa innovazione, perché il M5S ha anche saputo pungolare il governo. Manca, purtroppo nei partiti e anche nel Movimento, questa sensibilità verso il tesoro della nazione ch’è l’articolo 1 della Costituzione: non si può tassare più della media Ocse, ch’è del 25-30 per cento». Ci batte parecchio, Colomban, su quel tasto: «Il 53% delle migliori imprese italiane è stato svenduto all’estero perché gli imprenditori erano stanchi di dover pagare qualcosa ogni venti giorni. Bisogna incrementare il Pil diminuendo le tasse, si può fare, ci stanno arrivando tutti. Io speravo di usare il grimaldello del M5S per farlo capire: ma non credo che lo Stato abbia capito cos’è l’articolo 1 della Costituzione…». E quindi, tra poco Colomban stacca il biglietto di ritorno, da Roma al suo Veneto. Dove c’è un referendum che avanza («è nei sistemi federali che si pagano meno tasse e c’è più efficienza») dove c’è il suo Castelbrando: «Oggi il turismo è l’industria più grande del Paese. Ma dal 1970 a oggi, siamo passati dall’essere il 12% del turismo mondiale al 4-5%. Non si fa sinergia, rete, e in più, pure qui, la politica non fa altro che penalizzarti con le tasse».