Festa per il restauro delle tele rubate «Così le abbiamo riportare a casa»
Al museo gli investigatori protagonisti dell’inchiesta Oggi e domani ingresso a un euro per festeggiare
ACastelvecchio tornano protagoniste le ormai famose tele rubate il 19 novembre 2015 e ritornate a Verona dall’Ucraina il 23 dicembre scorso, dopo un intenso sforzo investigativo e diplomatico. Oggi e domani, al prezzo simbolico di un euro, si potranno ammirare nuovamente, dopo il restauro della soprintendenza. E tuttavia ieri pomeriggio al museo, in un incontro pubblico per celebrare la ricorrenza, presente la giunta Sboarina quasi al completo, più che le opere sono stati celebrati coloro che, più di tutti, hanno contribuito a farle tornare a casa: il pm Ottaviano e i suoi investigatori.
A Castelvecchio tornano protagoniste le ormai famose tele rubate il 19 novembre 2015 e ritornate a Verona dall’Ucraina il 23 dicembre scorso, dopo un intenso sforzo investigativo e diplomatico. Oggi e domani, al prezzo simbolico di un euro, si potranno tornare ad ammirare al museo dopo l’intervento di restauro curato dalla Soprintendenza con l’apporto anche di restauratori privati e generosi benefattori, come il signor Giuseppe Perotti, 13 di quei 17 dipinti (quattro sono in prestito fino al 4 novembre). «Sono più belle di prima», dice la direttrice del museo, Margherita Bolla. «No, sono tornate come prima - la corregge il soprintendente Fabrizio Magani -. Fortunatamente, nonostante abbiano sofferto nei mesi del trafugamento, hanno resistito bene». E tuttavia ieri pomeriggio al museo, in un incontro pubblico per celebrare la ricorrenza, presente la giunta Sboarina quasi al completo, più che le opere sono stati celebrati coloro che, più di tutti, hanno contribuito a farle tornare a casa: il pubblico ministero Gennaro Ottaviano, che ha coordinato un’inchiesta complicata dall’inizio alla fine, e i suoi investigatori, in particolare il vicequestore e dirigente della squadra mobile della Polizia di Verona Roberto Di Benedetto, il vicequestore Eugenio Masino, del servizio centrale operativo della Polizia, il tenente colonnello Antonio Coppola, nel Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri. Assieme al conservatore delle collezioni del museo, Ettore Napione, hanno ripercorso le tappe dell’inchiesta, condividendo emozioni e aneddoti di un periodo che li ha segnati.
La notte del furto è il terzo giorno in servizio a Verona per Di Benedetto. La chiamata della centrale operativa lo sorprende al ristorante. «Passammo la notte a guardare immagini e vie di fuga», ricorda. Napione li accompagnava nella ricognizione del museo: «Mi sa che il primo indiziato ero io», sorride lui. Non si sono soffiate, si brancola nel buio: c’è chi fa anche l’ipotesi dell’Isis e della Mala del Brenta. Invece, il basista è la guardia giurata, con la complicità del fratello e di una banda moldavo-ucraina, di cui gli ispiratori sono ancora latitanti. Per identificarli, è stato necessario un lavoro immane, con l’analisi di dieci milioni di dati telefonici, la visione di 5mila ore di filmati, l’ascolto di migliaia di ore di intercettazioni spesso indecifrabili anche per gli interpreti. «Un gran lavoro di squadra, fatto con spirito di spogliatoio - dice Masino Si dice spesso della rivalità tra Polizia e Carabinieri. Qui è nata subito empatia e voglia di collaborazione, non era scontato». La svolta, ricorda Ottaviano, è stata l’individuazione di un numero telefonico che aveva agganciato sia la cella di Castelvecchio che quella, a Brescia, dove era stata ritrovata l’auto del furto. Ma le vere complicazioni sono sorte dopo, quando si è trattato di andare a prendere responsabili e quadri oltre confine. «Con le autorità moldave c’è stata grande collaborazione, non così con le autorità ucraine», dice il pm. Così il 15 marzo, il giorno degli arresti, sfuma il recupero dei quadri. La tensione è alle stelle fino a che Ottaviano chiama la cavalleria, ovvero Eurojust. In un incontro a L’Aia, il 28 aprile, gli ucraini vengono messi con le spalle al muro. L’11 maggio i quadri vengono ritrovati, vicino a Odessa. Ci vorranno altri sette mesi perché la vecchia direttrice del museo Kanenko di Kiev, - «Fu assunta ai tempi di Breznev», ricorda Napione - li impacchetti per la spedizione a Verona. Ma quella è un’altra storia.