Ciambetti: «Roma impari la lezione della Spagna Senza risposte ai territori si alimentano tensioni»
«Era mezzogiorno quando siamo tornati in un seggio già visitato qualche ora prima. La gente era in fila per votare e nell’attesa guardava le immagini delle violenze che rimbalzavano sui social network. Quando ci hanno visto, e hanno riconosciuto al nostro collo il pass rilasciato agli osservatori internazionali, si è liberato un applauso. Ci hanno ringraziato e stretto la mano. È stato commovente, ammetto di essermi emozionato. Come mi ha colpito svegliarmi al mattino e scorgere dalla finestra dell’hotel una coda lunga un chilometro: l’ho seguita per curiosità, portava ad un seggio».
Roberto Ciambetti, presidente del consiglio regionale, è appena atterrato da Barcellona. Sabato aveva definito quella dell’indomani «una giornata destinata ad entrare nella Storia». Oggi ne è, se possibile, ancora più convinto.
Anche se secondo il governo spagnolo il referendum è stato celebrato nell’illegalità? Non teme che i catalani siano stati strumentalizzati da un azzardo politico che ha finito per esasperare gli animi?
«Gli agenti provocatori erano i vecchietti buttati giù dalle scale? Le ragazze inermi prese a manganellate? Il sindaco di Girona, che ha settant’anni, sbattuto contro il muro?».
Perché votare comunque, se la Corte costituzionale ha detto no? Non è stato un gesto irresponsabile da parte dei politici locali?
«La vicenda si sarebbe potuta gestire meglio? Sicuramente sì. Questo vale anche per la politica locale? Certo. Ma attenzione, la voglia di indipendenza, in Catalogna, non è una novità dell’ultimo mese. Alle elezioni regionali ha vinto una maggioranza chiaramente indipendentista che aveva il referendum nel suo programma. Perché il governo di Madrid non è stato in grado di elaborare per tempo una risposta alle richieste del territorio? A meno che non si voglia far passare per “risposta” l’arresto dei funzionari del governo catalano e l’intervento della guardia civil ai seggi, una mossa che ha prodotto lo straordinario risultato di rendere favorevole dell’indipendenza anche chi era contrario».
Quanto accaduto in Catalogna può essere un monito per il governo italiano nella gestione delle richieste autonomiste del Veneto?
«La causa catalana nasce nel 2006, quando l’allora premier spagnolo Zapatero chiuse con le Regioni un accordo per l’approvazione degli statuti autonomi. Poi salì al governo il Parito popolare, che mise in moto i giudici e nel 2010 riuscì nel suo intento di fare carta straccia dell’accordo. Lì è iniziato tutto. Dunque o gli Stati capiscono che a situazioni differenziate devono corrispondere soluzioni istituzionali diverse, che l’autogoverno in alcuni casi può funzionare meglio, che non bisogna prendere dai territori più del dovuto dalla solidarietà nazionale, oppure è chiaro che possono esserci delle derive. In questo senso sì, la Spagna insegna».
Lei ha ricordato che l’accordo Zapatero fu bloccato dal governo di centrodestra. Ha letto le dichiarazioni dell’assessore Elena Donazzan? Che ne pensa? «Preferisco non commentare le dichiarazioni della collega Donazzan».
Resta il fatto che Rajoy è di centrodestra. Come voi.
«L’ho sentito l’altra sera, a Plaza de Cataluña. Ha detto cose allucinanti. La situazione gli è sfuggita di mano, solo le pressioni internazionali hanno fermato la guardia civil».
Ma fino a che punto si può si spingere il principio di autodeterminazione? Quando la linea può dirsi superata?
«Quando il popolo si esprime in modo democratico, senza pressioni o sotterfugi, per me ha sempre ragione, anche sulla legge. La nostra Costituzione si fonda sul principio di unità e indivisibilità, è vero. Ma prevede anche il rispetto delle auto-
nomie e il decentramento, perché questo non è mai stato applicato? Ripeto: la Catalogna non è l’Estremadura. il Veneto non è la Calabria. O lo si capisce o si finiscono per alimentare tensioni». Dal 23 ottobre cosa cambierà per il Veneto?
«Inizierà una trattativa serrata con Roma sulla base dell’indicazione popolare che il presidente Zaia avrà ricevuto. Io mi auguro sia la più ampia e forte possibile e mi riferisco alla partecipazione, perché certo se voteremo in pochi Roma avrà le sue ragioni per bastonarci». Il governo dice che il referendum è inutile.
«Chi dice questo è contro la Costituzione. Perché il nostro referendum ha avuto il via libera della Consulta e perché fu proprio quest’ultima, negandocelo invece nel 1992, a sostenere che pur consultivo, il referendum aveva forte valore politico e il legislatore non avrebbe potuto disattenderne l’indicazione». Lei crede davvero che il Veneto possa diventare come Trento e Bolzano?
«Io credo che sicuramente ci sarà un miglioramento delle nostre condizioni di vita. Poi chiaro, in che misura dipenderà dall’esito delle trattative e dagli interlocutori che avremo di fronte. Finora non sono stati proprio collaborativi ma confido che anche a Roma ci siano menti illuminate che facendo tesoro dell’esperienza spagnola vogliano gestire al meglio, seriamente e senza prese in giro, la “questione veneta”».
Intanto in consiglio regionale è stata depositata una nuova proposta per un referendum indipendentista. La voterà?
«Non l’ho letta, ma mi pare crei solo confusione in un momento in cui la confusione non aiuta. La questione non è all’ordine del giorno».
La nuova proposta indipendentista Non l’ho letta ma mi pare crei solo confusione e questo non aiuta. Non è all’ordine del giorno dell’aula