MA DOVE VOGLIAMO ANDARE?
Se non avessimo sotto gli occhi le immagini inquietanti del dramma catalano e nelle orecchie gli inviti a riaffermare la «genetica voglia di autodeterminazione del popolo veneto» non ci sarebbe alcun motivo per opporsi in linea di principio a che lo Stato conceda alla Regione del Veneto «ulteriori» forme e condizioni «particolari» di autonomia. Si dovrebbe invece, scendendo nei dettagli, valutarne l’opportunità. Se si rimane nel quadro costituzionale, le «ulteriori» competenze non possono riguardare altro che il rafforzamento di quelle già «condivise» tra Stato e Regione.
Quelle di esclusiva competenza statale non si toccano. E le eventuali maggiori risorse finanziarie trasferite sono quelle che lo Stato avrebbe esso stesso dedicato al Veneto per quelle attività. Tutto questo, si badi bene, solo dopo che la Regione avrà formalizzato le sue richieste e concordato con lo Stato un’intesa perfetta: un testo sul quale le parti devono convenire fino all’ultima virgola e che lo Stato deve approvare a maggioranza assoluta delle due Camere. Strada lunga. Che, come noto, avrebbe potuto essere accorciata e intrapresa da tempo senza passare per il referendum. Procedura faticosa. Sopportabile se si può immaginare che la Regione saprà gestire meglio dello Stato quelle
Possiamo anche far credito al Veneto di una maggiore efficienza burocratica. Ma il meglio non può esser riferito solo al metodo, alla tattica. Recinto oltre i quali ci siamo abituati a non andare, perché «è tanto più semplice – cito il Macron del discorso sull’Europa alla Sorbona - non spiegare mai dove si vuol andare, dove vogliamo condurre i nostri popoli».
L’entusiasmo anche per un referendum solo «tattico» come quello del 22 ottobre sarebbe invece tutto diverso se sapessimo che gli «ulteriori» poteri tornerebbero utili per una regione che, come il resto d’Italia, comincia a intravvedere segni di ripresa dopo un decennio di lacrime e sangue; se ci si facesse intuire che potrebbero fare la differenza per aumentare la capacità competitiva del Veneto sulla scena globale e per gestire la transizione ambientale e quella digitale che sconvolgeranno la nostra vita nei prossimi anni.
Non abbiamo bisogno di troppe promesse. Basterebbe sentirsi dire, ad esempio, che, usando le ulteriori competenze in materia di «protezione civile», di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e di «governo del territorio», ci si vuol prendere la responsabilità di difendere il Veneto da frane, alluvioni e tornadi; oppure che, aumentando le competenze in «norme generali sull’istruzione» e in «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno dell’innovazione», ci si assume la responsabilità di arricchire il capitale umano regionale, occupandosi di formazione, da quella professionale fino all’Università, o di facilitare il trasferimento tecnologico alle imprese; oppure che si useranno maggiori competenze in tema di «grandi reti di trasporto e di navigazione» e di «porti ed aeroporti civili» per dare sviluppo sistemico all’enorme patrimonio di «accessibilità al mondo» che l’ubicazione geografica mette a disposizione del Veneto. Questi o altri obiettivi capaci di far sognare i veneti, ma enunciati prima del 22 ottobre. Come si dice: «pagare moneta per vedere cammello».
Ma occorre preliminarmente cancellare anche il minimo dubbio che il referendum sull’autonomia diventi, anche involontariamente, il cavallo di Troia che fa riemergere il tema dell’indipendenza. Non ne abbiamo bisogno. Crediamo alla buona fede di Zaia. Ma sull’argomento deve essere come la moglie di Cesare. Ci convinca che si sta muovendo entro il quadro costituzionale per scelta, non perché gli è stato imposto dalla Corte costituzionale. Lo faccia promuovendo l’abrogazione della legge regionale che indiceva il referendum sull’indipendenza e, ancor prima, celebrando in modo più consono quel 22 ottobre, scelto –vizietto indipendentista-- per far coincidere la data del referendum con quello del Plebiscito per l’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866. Per fortuna di Zaia, quella data coincide anche con il centenario della rotta di Caporetto (24 ottobre 1917) e il 99° anniversario dell’inizio della battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre 1918). I due eventi che hanno fatto gli italiani. Unendoli definitivamente prima nella disgrazia e poi nel successo. Facendo nascere l’Italia del popolo proprio nel Veneto, lungo le sponde del Piave, fiume caro alla patria. Prima del 22 ottobre Zaia trovi il modo di ricordarlo e di rendere pubblico omaggio a quei due avvenimenti. Se vedremo un «cammello» carico di ulteriori competenze strategiche utili a un Veneto pronto a sfruttare ogni spazio di autonomia entro la cornice unitaria della Repubblica, potremmo anche «pagare la moneta» di andare a votare.