«Non ha valore giuridico, peserà politicamente»
VERONA Dibattito sul referendum veneto del 22 ottobre ieri a Giurisprudenza con due prof di diritto. Per i quali, il referendum equivale a «una scampagnata» dal punto di vista giuridico, mentre avrà molto valore, se vince il sì, politicamente»
VERONA «Inutile dal punto di vista giuridico, ma politicamente può essere un segnale forte, in diverse direzioni». Suona così la valutazione di due docenti dell’università di Verona, Giampietro Ferri (diritto costituzionale) e Matteo Nicolini (diritto pubblico comparato). La questione della presunta efficacia della consultazione sull’autonomia, che riguarderà esclusivamente, con quesiti leggermente diversi, Lombardia e Veneto è al centro dell’anomala campagna elettorale, che vede l’assenza assoluta di un comitato per il no, un’ampia compagine politica (la Lega e i partiti di centrodestra, ma anche alcuni esponenti del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle) per il sì, mentre i contrari all’operazione - tacciata, specie a sinistra, di propagandismo - spingono per l’astensionismo. I due «prof» sono intervenuti ieri nel primo incontro pubblico condotto da specialisti organizzato dall’ateneo, nell’auditorium di Giurisprudenza (il prossimo si terrà giovedì 19 ottobre): nella loro disamina, partiti proprio da questo aspetto, alla luce anche del sondaggio condotto dall’Swg e pubblicato sempre ieri, secondo cui per il 50% degli italiani il referendum sull’autonomia sarà di fatto «uno spreco». Ferri non usa mezzi termini: «Alla luce del quesito (per il Veneto: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”, ndr) la si può definire, sul piano squisitamente giuridico una scampagnata, magari non fuori porta, ma al più vicino seggio elettorale». Certo, c’è stato anche il lavorio della Corte costituzionale, che ha ridotto significativamente la domanda formulata originariamente dal Consiglio regionale, in cui si specificava che il Veneto avrebbe trattenuto l’80% delle imposte e che si sarebbe fregiato del titolo di regione a statuto speciale. «Con un quesito del genere, molto vago - specifica Ferri - è difficile capire su cosa si potrà negoziare. Giustamente qualcuno ha espresso il dubbio, tra questi anche l’ex presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, che bastasse una risoluzione votata dalla maggioranza dei consiglieri». Attenzione, però, il referendum, in ogni caso, avrà un altro peso politico. «In una democrazia prosegue Ferri - il voto espresso dal corpo elettorale ha sempre un peso. La situazione va valutata con attenzione: se c’è un’ampia partecipazione al voto non si può ignorare, così come anche un’eventuale scarsa affluenza avrebbe un determinato peso politico». Che direzione si potrebbe imboccare con un’eventuale plebiscito di sì? «Non è un mistero - nota il costituzionalista - che alcuni tra i promotori lo considerino un’apripista verso altre iniziative volte alla richiesta di indipendenza. Un quesito del genere, del resto, era stato votato in Regione, per poi essere bocciato. Non è escluso che un risultato eclatante in termini positivi possa aiutare a inserirsi in un percorso difficilmente controllabile». Inevitabile il paragone con la Catalogna. Nicolini ricorda che «la situazione nella Comunità autonoma è conflittuale perché mancavano i presupposti per la concertazione: in altri casi, come in Scozia e in Quebec, è stato possibile effettuare un referendum grazie anche a degli accordi preventivi, che riguardavano anche l’utilizzo di una moneta comune».