Corriere di Verona

L’aviaria non se ne va e crea guai (ora risolti) anche al gruppo Aia

- di Davide Orsato

È stata la vera emergenza del comparto agroalimen­tare del 2017 e continua a fare danni (soprattutt­o economici). Il virus H5N8, quello dell’influenza aviaria crea più grattacapi, almeno in Veneto, di quanti non abbia fatto la siccità, altra sciagura che si è abbattuta sul settore.

Questa volta, l’ultimo focolaio, individuat­o la scorsa settimana, è arrivato a preoccupar­e - seppur indirettam­ente anche un big, il gruppo Veronesi. Il 29 settembre, infatti, sono stati individuat­i tre allevament­i con la presenza del virus, tra le provincie di Verona e Vicenza. Uno in località Scimmia, a ridosso del confine comunale con Verona. Siamo a meno di due chilometri, in linea d’aria, da uno degli stabilimen­ti principali, quello dell’Aia.Tenere conto della distanza è fondamenta­le. Secondo la prassi, infatti, è stata individuat­a una zona di sorveglian­za (del raggio di dieci chilometri) e una di protezione. Quest’ultima è quella che prevede le misure più drastiche, della durata di ventun giorni. Tra le altre cose, prevede un censimento di tutti gli allevament­i presenti, la registrazi­one di tutti i visitatori che entrano ed escono dagli stessi e la compilazio­ne di un registro con le visite dei veterinari e i relativi risultati. Severament­e vietato, anche nella zona di sorveglian­za lo spostament­o e l’accasament­o degli animali: è questo provvedime­nto che pesa per di più sulle aziende, per un totale, in provincia, di svariate centinaia di migliaia di euro.Problemi che non riguardano le aziende che, però, trattano la carne. Tuttavia l’Aia ha, in quella sede, uno dei più importanti macelli industrial­i della regione (un altro è a Campiglia dei Berici, nel Basso Vicentino, dove si è registrato un altro caso). Dal punto di vista delle norme italiane e comunitari­e non c’è alcun problema. Ma alcuni paesi extra Ue prevedono regole più severe per quello che tecnicamen­te si chiama «rischio di contaminaz­ione crociata». Un caso è rappresent­ato dalla Serbia che, in questi casi, blocca le importazio­ni. Il problema si è posto tanto che, nei primi giorni della settimana, in azienda è stato preso in consideraz­ione di fermare l’impianto. Finché non è intervenut­a una deroga, che ha escluso l’Aia dalla zona di protezione, a seguito di un sopralluog­o dei veterinari. Abbastanza per tirare un sospiro di sollievo: è lo stesso Giordano Veronesi a far sapere che la vicenda è «stata completame­nte risolta». Resta la minaccia che continua a rappresent­are il virus non esclusivam­ente per gli allevament­i. A quello di San Martino, la contaminaz­ione è costata l’abbattimen­to di 8.520 tacchini (in assoluto la specie più esposta al virus). In provincia si tratta del dodicesimo focolaio scoperto: 182mila gli animali soppressi.

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