LA TRIADE VINCENTE DEL NORDEST
Un modello industriale al quale tutti i settori dovrebbero ispirarsi per affrontare le sfide della competizione globale. Ma non solo. Un modello di sviluppo a disposizione dell’intero Nordest per ricominciare a correre. Proprio così. Quel «Veneto che fa le scarpe al mondo» di cui si parlerà oggi pomeriggio all’Orto botanico di Padova, è il Veneto migliore, capace realmente di trasformare la crisi (peraltro una botta fortissima, specie sul piano occupazionale) in opportunità di riscossa. I dati dei due distretti chiave, le scarpe di lusso lungo la Riviera del Brenta e lo sportsystem intorno a Montebelluna, parlano da soli: 4 miliardi di fatturato complessivo (compreso l’abbigliamento sportivo), il 65 per cento sui mercati internazionali, oltre 17 mila addetti, più l’indotto. I numeri, però, non dicono tutto. Per spiegare la seconda (o forse terza, o quarta) vita del calzaturiero, settore maturo per antonomasia e dichiarato svariate volte morto e sepolto, bisogna tornare al famoso modello. Un mix unico di tradizione, innovazione e formazione. Insomma, il calzaturiero rappresenta una sorta di paradigma del nuovo Nordest. Agognato, sognato, ma per nulla impossibile da costruire. Con o senza l’etichetta di Industria 4.0. Ed è qui che scende in campo la triade vincente. Primo, la tradizione. Che significa riscoprire e valorizzare gli antichi saperi, compreso il vecchio, classico, fatto a mano. Nello specifico, vuole dire tenersi stretti (e pagare profumatamente) i maestri pellai, capaci di riconoscere in un secondo, all’occhio e al tatto, la qualità della materia prima, o gli artisti della calzata, perché la prima qualità di una scarpa deve essere la comodità.
E attenzione: artigianalità fa rima con esclusività. Ergo, i prezzi salgono, i margini pure. Secondo, l’innovazione. Saremo ancora lontani dalla scarpa computerizzata, che ti avverte prima di inciampare, ma il digitale è entrato di prepotenza nei calzaturifici: modellisti al lavoro al computer su programmi Cad, prototipazione rapida con stampanti 3D, controllo continuo della filiera dai fornitori ai venditori, e via, fino all’e.commerce. L’hi-tech consente flessibilità industriale e personalizzazione dei prodotti. Dopo l’epoca delle delocalizzazioni, anche produrre direttamente in Italia torna a essere conveniente. Da Diadora a Lotto, molti stanno mettendo in pratica il cosiddetto reshoring o ci stanno seriamente pensando. Terzo, la formazione. I corsi dello Iuav di Venezia sfornano designer di moda in grado di alimentare il «fashion in Italy». Il Politecnico calzaturiero vanta un tasso di occupazione dei suoi ragazzi del 90%. Competenze pratiche e informatiche si uniscono a comporre un capitale umano di eccellenza: quello che secondo gli economisti è l’autentico fattore di successo del manifatturiero moderno.
Bene, se questa è la rotta, il Veneto ha le carte perfettamente in regola per essere la regione guida del Nuovo rinascimento del Paese. Difficile trovare, da Bolzano a Palermo, un altro territorio dove convivano e crescano insieme alto artigianato e alta tecnologia. O con la stessa capacità di adattarsi ai cambiamenti, rivoluzionando in continuazione prodotti e processi. Senza contare la spinta alla conquista dei mercati internazionali. È venuto davvero il momento di fare le scarpe al mondo. In tutti i sensi.