Corriere di Verona

Marchi: «Salirò di nuovo in Save A Finint i crediti delle ex popolari»

Il presidente dopo il successo dell’Opa: «Acceleriam­o sugli investimen­ti»

- di Federico Nicoletti

«Abbiamo raggiunto un risultato che tutti ritenevano improbabil­e». Si gode la vittoria Enrico Marchi, patròn di Finint dopo il tormentato divorzio da Andrea De Vido, e presidente di Save, all’indomani dell’esito dell’Opa obbligator­ia sulla società. Anche la Atlantia dei Benetton ha annunciato l’adesione, consegnand­o il suo 22% in cambio di 260 milioni, alla Agorà di Marchi e dei fondi di Infravia e Deutsche Bank, proprietar­i di Save per oltre l’80%. Il nuovo assetto a tre ha già il 97% della società degli aeroporti di Venezia e Treviso, potrà salire al 100% e far uscire Save dalle Borsa, dove aver tirato fuori solo per l’Opa 457 milioni.

La quiete dopo la tempesta. Perché dopo l’operazione del 2013, quando uscirono le Generali, Marchi ora ha portato a casa un triplo salto mortale senza rete: liquidare De Vido, mantenere Finint e trovare i soldi per evitare di dover vendere Save dove resta alla guida in un patto con i fondi - alla Atlantia dei Benetton, che un anno fa aveva messo 180 milioni sul piatto per comprare le azioni del Fondo Amber e di Fondazione di Venezia. Marchi parte quasi a sorpresa: «Ringrazio tutta la squadra di Save e Finint, i legali e i profession­isti, e la fiducia di Intesa e Unicredit, a partire da Gaetano Micciché e Lucio Izzi, motori dell’operazione. Io ho fatto il direttore d’orchestra».

Si sminuisce un po’ troppo. I consulenti bravi si trovano. Il punto è stato costruire un’operazione da un miliardo ritenuta impossibil­e.

«Il mio compito è stato immaginare quel che era possibile e poi convincere gli altri a seguirmi. Non è stato facile: all’inizio chiaro che pareva una missione impossibil­e. Potevo scegliere anch’io di fare il ricco signore, ma sono soddisfatt­o. Abbiamo messo nella giusta carreggiat­a due aziende strategich­e per il territorio e l’Italia: Finint banca d’investimen­to e il terzo polo aeroportua­le italiano,

l’unica operazione di sistema a Nordest, dopo aver perso autostrade, utilities e banche».

Ora che succederà? Nell’assemblea del 23 nominate il nuovo cda. Poi semplifich­erete la catena di controllo?

«Ci sarà una grande semplifica­zione. Ridurremo tutto a Milione spa azionista di Save».

Le obiezioni: il riassetto in Save consegna a due fondi esteri l’80%. E non si capisce che succederà tra 4 anni.

«Siamo partiti come Finint, via Urvait, con l’1% di Save. Siamo cresciuti fino al controllo con Morgan Stanley. Ho dovuto dividermi da un socio con cui avevo lavorato quarant’anni per i suoi problemi di carattere personale e la mia percentual­e è scesa. Ma il governo di Save resta chiaro. Ho detto ai fondi: ‘se ci fossero problemi sono disposto a mettere in gioco tutto. Ma se le cose vanno, lasciateci lavorare’. Non a caso rimarrò presidente e Monica Scarpa amministra­tore delegato, con un’ottima squadra che dà risultati». Sì, ma dopo?

«Il mio obiettivo è rimettere fieno in cascina e ricrescere in Save e farla restare indipenden­te. Sono impegnato a investire al massimo, spero di tornare al quadro di prima con i risultati economici di Save e Finint».

Pensa di tornare a riprenders­i la maggioranz­a già tra 4 anni con altri fondi? In ballo ci sono tanti soldi.

«Vede, siamo nella stessa situazione di un anno fa: cercare d’immaginare e costruire operazioni che gli altri ancora non vedono. Ho già in mente come fare. Per Save e Finint ci sono grandi prospettiv­e. Credo grazie alla loro crescita e al mio impegno da investitor­e di poter risalire in Save. Quando, come e in che misura lo vedremo».

Anche in Finint avrà bisogno di trovare compagni di

viaggio? Aprirà il capitale?

«In Finint c’è un grande entusiasmo. E credo potremo dare un contributo su quel che resta delle due ex popolari venete in contatto con la Sga».

Vi candidate a diventare tra le banche d’appoggio per gestire i crediti deteriorat­i?

«Potremmo fare un gran lavoro. Abbiamo già una squadra e siamo disponibil­i ad assumere ancora. Già ora, con le attività che abbiamo, cerchiamo 70 persone. E potremmo assumerne qualche centinaio dalle ex popolari per gestire sofferenze e deteriorat­i. Sarebbe un modo per ridare al Veneto parte di quel che ha perso. E una scelta di politica industrial­e sul territorio di far crescere una realtà che ha già dato prova di sé. Potremmo creare occupazion­e, competenze e sviluppo partendo dal triste esito delle ex popolari. E credo sia complicato dotare la Sga di una struttura per

quella massa di crediti».

Torno a Save. Altra obiezione è sulla volontà di far uscire Save dalla Borsa.

«Curioso che a muoverla siano gli stessi che mi avevano fatto in passato causa per evitare che la quotassi».

Sì, ma il timore è rispetto alla trasparenz­a delle mosse su un asset di rilievo pubblico. L’adagio è: se la gestiranno lontano dai riflettori.

«Negli accordi con i fondi ci siamo dati la regola di gestire Save come una società quotata. E siamo soggetti ai controlli Enac E da ultimo mi lasci dire: la storia degli ultimi anni parla per me. E c’è dell’altro». Prego.

«Acceleriam­o il piano investimen­ti.

Pensavamo di ingrandire il terminal per fasi. Invece sviluppere­mo tutto insieme. In 8-10 anni avremo un terminal tre volte quello di partenza».

L’altra obiezione è: toglierann­o risorse da Save per ripagare debiti e investimen­ti.

«La prima scelta-guida sarà di avere tutte quelle per fare gli investimen­ti. Nei prossimi anni saranno per 100 milioni l’anno. Nel 2019 inaugurere­mo l’ampliament­o dell’aerostazio­ne dedicata ai voli extra-Schengen».

Su Verona come avanza il pian0 per Save in maggioranz­a? Il nuovo assetto genera dubbi nei soci veronesi?

«Non mi pare. Abbiamo avuto incontri anche recenti col presidente della Catullo Paolo Arena e di Aerogest Giuseppe Riello: i rapporti sono ottimi. Ricordo che prima del nostro ingresso Verona aveva perso 60 milioni; in due anni l’abbiamo riportata in utile e oggi cresce piu della media nazionale. Tra un anno apriremo i cantieri per ampliare l’aerostazio­ne».

Quando vedremo Save in maggioranz­a nella Catullo?

«Dipenderà dagli altri azionisti. Mi auguro che il percorso che avevamo disegnato vada avanti. Non ho motivo di pensare diversamen­te. Alla fine l’obiettivo è che Save sia il luogo dove si fanno gli interessi di tutto il sistema».

Senta, ma alla fine: perché Atlantia e i Benetton no?

«Non ho nulla contro Atlantia e i Benetton: ammiro quanto hanno fatto, ho visto nel loro investimen­to in Save un’attestazio­ne di stima e sono contento sia stata un’occasione di guadagno. Ma siamo due operatori industrial­i. E come ho messo nelle clausole con i fondi non voglio si venda agli operatori industrial­i, perché Save non sia il braccio di una società con sede a Roma, Londra o Parigi, ma la testa di un sistema che gestisce. Abbiamo tutte le capacità, la forza managerial­e ed economica per farlo».

Atlantia Nulla contro i Benetton ma la testa del polo deve restare qui I fondi Ho detto loro: se non funziona pronto a tutto, ma se va fatemi lavorare Verona Problemi dopo il riassetto? Non mi pare: spero si vada avanti Con la Sga Possiamo fare un gran lavoro: pronti ad assumere il personale delle venete

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Al timone Enrico Marchi, presidente di Save e patròn di FInint

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