La battaglia del magistrato e la rotazione degli incarichi che non mi convince affatto
Ho seguito con attenzione lo sviluppo giornalistico in merito sia alla decisione del dottor Andrea Mirenda di rinunciare agli incarichi semidirettivi chiedendo e ottenendo il trasferimento ad altra funzione, sia il dibattito che – su più ampia scala – ne è seguito. La prima reazione, anche da Presidente dell’Ordine degli Avvocati, è stata di dispiacere per la scelta del magistrato di lasciare il tribunale civile in quanto persona molto stimata e benvoluta dal Foro veronese e non solo veronese: la considero una grave perdita e personalmente avrei preferito che ciò non accadesse. Altrettanto, un prezioso acquisto per il consesso penale veronese.
La seconda reazione è legata necessariamente alla valutazione della scelta, alle sue radici più profonde, agli eventuali riflessi e allo scenario non locale ma nazionale. Innanzitutto mi preme dire che Verona è, soprattutto da una ventina di anni a questa parte, una sede di Tribunale in cui massima è stata la sinergia tra Uffici e Avvocatura, e anche all’interno della magistratura stessa. Pertanto, all’esterno non si deve pensare che possano essersi create fratture, evidenti o sottotraccia, tra i magistrati veronesi, perché l’interesse di tutti, ma soprattutto dei cittadini e delle imprese prima ancora che di avvocati e magistrati, è quello che il meccanismo «giustizia» qui a Verona funzioni al meglio.
Lasciamo ad altre sedi attriti e tensioni che – inevitabilmente – sono destinate a portare inaccettabili paralisi.
Sotto altro punto di vista, pur comprendendo quanto emerso dall’assemblea della sezione locale della Associazione Nazionale Magistrati (e avendo presente le motivazioni politiche) il criterio della rotazione tout court e in qualche modo automatica degli incarichi semidirettivi non mi vede convinto sia come avvocato che esercita la professione con fierezza ed orgoglio da quasi trent’anni, sia da rappresentante, in questo momento storico, dell’Avvocatura veronese tutta.
Capacità, merito, attitudine, e, ove possibile, l’auspicabile parere dell’Avvocatura per i magistrati quantomeno locali, dovrebbero essere i criteri per assumere tali incarichi. Ognuno di noi sa, ed ognuno dei magistrati sa, che non tutti possono rivestire certe cariche. Quindi, non ritengo che il rimedio proposto sia migliore del male. Paradossalmente, sarei molto più favorevole al metodo stocastico (un antichissimo metodo, familiare a grandi democrazie come la Repubblica di Venezia e che consisteva nella estrazione a sorte, in determinati elenchi, di soggetti che avrebbero dovuto formare organi garanti o di autogoverno) ma come metodo da utilizzarsi, semmai, per il Consiglio Superiore della Magistratura o per le autorità garanti… e non certo per gli incarichi direttivi o semidirettivi di un Tribunale!
Inoltre, è assolutamente vero che il carrierismo sfrenato, o l’ambizione sfrenata, così si legge negli articoli di stampa, formano senza dubbio una miscela esplosiva. Ma l’argomento è vecchio e non nasce, in magistratura, da pochi mesi. L’ossessione per la carriera ha dilaniato importantissimi Uffici Giudiziari della Repubblica, ma non ricordo francamente sonore proteste da parte degli altri magistrati della sede interessata, che, viceversa, mi pare abbiano quasi sempre assistito passivamente a quanto stesse accadendo attorno a loro; non volgendo, quindi, il pensiero ai danni per il cittadino, i minori, il sistema, le imprese, la società nel suo complesso.
Ed allora, se le vicende veronesi porteranno a una approfondita riflessione in Anm e nella magistratura tutta, il percorso sarà senz’altro virtuoso. Viceversa, ci troveremo sempre e in modo disarmante a ricordare quello che scriveva Francis Bacon 400 anni fa, peraltro ben sottolineato da Luciano Violante a suo tempo: «I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono» (…) Il trono ambisce a schiacciare i leoni. I leoni, dal canto loro, manifestano una certa propensione a sedersi sul trono. Solo una solida, laica coscienza istituzionale può garantire il raggiungimento di un equilibrio democratico.