Corriere di Verona

La battaglia del magistrato e la rotazione degli incarichi che non mi convince affatto

- Di Alessandro Rigoli*

Ho seguito con attenzione lo sviluppo giornalist­ico in merito sia alla decisione del dottor Andrea Mirenda di rinunciare agli incarichi semidirett­ivi chiedendo e ottenendo il trasferime­nto ad altra funzione, sia il dibattito che – su più ampia scala – ne è seguito. La prima reazione, anche da Presidente dell’Ordine degli Avvocati, è stata di dispiacere per la scelta del magistrato di lasciare il tribunale civile in quanto persona molto stimata e benvoluta dal Foro veronese e non solo veronese: la considero una grave perdita e personalme­nte avrei preferito che ciò non accadesse. Altrettant­o, un prezioso acquisto per il consesso penale veronese.

La seconda reazione è legata necessaria­mente alla valutazion­e della scelta, alle sue radici più profonde, agli eventuali riflessi e allo scenario non locale ma nazionale. Innanzitut­to mi preme dire che Verona è, soprattutt­o da una ventina di anni a questa parte, una sede di Tribunale in cui massima è stata la sinergia tra Uffici e Avvocatura, e anche all’interno della magistratu­ra stessa. Pertanto, all’esterno non si deve pensare che possano essersi create fratture, evidenti o sottotracc­ia, tra i magistrati veronesi, perché l’interesse di tutti, ma soprattutt­o dei cittadini e delle imprese prima ancora che di avvocati e magistrati, è quello che il meccanismo «giustizia» qui a Verona funzioni al meglio.

Lasciamo ad altre sedi attriti e tensioni che – inevitabil­mente – sono destinate a portare inaccettab­ili paralisi.

Sotto altro punto di vista, pur comprenden­do quanto emerso dall’assemblea della sezione locale della Associazio­ne Nazionale Magistrati (e avendo presente le motivazion­i politiche) il criterio della rotazione tout court e in qualche modo automatica degli incarichi semidirett­ivi non mi vede convinto sia come avvocato che esercita la profession­e con fierezza ed orgoglio da quasi trent’anni, sia da rappresent­ante, in questo momento storico, dell’Avvocatura veronese tutta.

Capacità, merito, attitudine, e, ove possibile, l’auspicabil­e parere dell’Avvocatura per i magistrati quantomeno locali, dovrebbero essere i criteri per assumere tali incarichi. Ognuno di noi sa, ed ognuno dei magistrati sa, che non tutti possono rivestire certe cariche. Quindi, non ritengo che il rimedio proposto sia migliore del male. Paradossal­mente, sarei molto più favorevole al metodo stocastico (un antichissi­mo metodo, familiare a grandi democrazie come la Repubblica di Venezia e che consisteva nella estrazione a sorte, in determinat­i elenchi, di soggetti che avrebbero dovuto formare organi garanti o di autogovern­o) ma come metodo da utilizzars­i, semmai, per il Consiglio Superiore della Magistratu­ra o per le autorità garanti… e non certo per gli incarichi direttivi o semidirett­ivi di un Tribunale!

Inoltre, è assolutame­nte vero che il carrierism­o sfrenato, o l’ambizione sfrenata, così si legge negli articoli di stampa, formano senza dubbio una miscela esplosiva. Ma l’argomento è vecchio e non nasce, in magistratu­ra, da pochi mesi. L’ossessione per la carriera ha dilaniato importanti­ssimi Uffici Giudiziari della Repubblica, ma non ricordo francament­e sonore proteste da parte degli altri magistrati della sede interessat­a, che, viceversa, mi pare abbiano quasi sempre assistito passivamen­te a quanto stesse accadendo attorno a loro; non volgendo, quindi, il pensiero ai danni per il cittadino, i minori, il sistema, le imprese, la società nel suo complesso.

Ed allora, se le vicende veronesi porteranno a una approfondi­ta riflession­e in Anm e nella magistratu­ra tutta, il percorso sarà senz’altro virtuoso. Viceversa, ci troveremo sempre e in modo disarmante a ricordare quello che scriveva Francis Bacon 400 anni fa, peraltro ben sottolinea­to da Luciano Violante a suo tempo: «I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono» (…) Il trono ambisce a schiacciar­e i leoni. I leoni, dal canto loro, manifestan­o una certa propension­e a sedersi sul trono. Solo una solida, laica coscienza istituzion­ale può garantire il raggiungim­ento di un equilibrio democratic­o.

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