Corriere di Verona

QUANDO LA DIFESA È (IL)LEGITTIMA

- Di Antonino Condorelli

Dal sito del Senato risulta «non ancora iniziato l’esame» del ddl recante le discusse modifiche in materia di legittima difesa, trasmesso dalla Camera il 4 maggio scorso, e tutto fa ragionevol­mente prevedere che le proposte di riforma, già oggetto di contrastan­ti valutazion­i politiche, saranno probabilme­nte affrontate solo nella prossima legislatur­a, anche se non si può certo escludere che esse tornino di estrema attualità proprio nel corso della ormai (di fatto) avviata campagna elettorale. La cronaca del resto è densa di continui riferiment­i al tema, che rimane di estrema e scottante attualità, anche se con sovrapposi­zioni ed equivoci agevolati dalla sua indubbia complessit­à tecnica e politica. Tutti sappiamo come la sicurezza dei cittadini, minacciata da più parti e non sempre adeguatame­nte garantita dalle istituzion­i, sembra stare, o dovrebbe stare, a cuore di coloro che ci governano o ambiscono di farlo. Alcune cose possono comunque essere sicurament­e chiarite. Innanzitut­to bisognereb­be che tutti avessero l’onestà intellettu­ale di sgombrare il campo da una pericolosa e irrealizza­bile illusione: poiché si tratta di «giustifica­re fatti tipici di delitto contro la persona» (uccisioni, ferimenti etc.), non è possibile fare a meno della indagine penale che tale giustifica­zione deve necessaria­mente accertare, e nessuna legge potrà mai evitarlo. Ogni contraria affermazio­ne è fuorviante, e strumental­e ad uno sfruttamen­to demagogico delle dolorose vicende delle vittime, e non mira realmente a risolverne, né ad attenuarne, le sofferenze che certo, come in tanti altri casi, sarebbero in buona misura ridotte da una diversa rapidità ed efficienza del servizio Giustizia. Positivo, piuttosto, al riguardo il principio sancito dall’art.2 che pone a carico dello Stato il costo della difesa della «persona dichiarata non punibile» per essersi legittimam­ente difesa, anche se appare macroscopi­ca e inaccettab­ile la discrimina­zione nei confronti di coloro che invece siano stati assolti per insussiste­nza o estraneità al fatto, e che dovrebbero continuare a sopportare i costi della loro difesa. Altro limite tecnicamen­te insuperabi­le, anche da parte dei più accesi, e non saprei quanto sempre consapevol­i, sostenitor­i della «difesa sempre legittima», è quello costituito dall’art.2 della Convenzion­e Europea per la salvaguard­ia dei diritti dell’uomo, secondo cui la morte non può essere volontaria­mente inflitta ad alcuno (e quindi neanche agli aggressori).

Salvo che per «ricorso alla forza resosi assolutame­nte necessario per difendere ogni persona da una violenza illegittim­a». Non è possibile quindi per il legislator­e uscire dal tracciato obbligato della difesa assolutame­nte necessitat­a, e di ciò sembra pienamente consapevol­e anche la proposta di modifica laddove richiama e conferma la vigente previsione dei requisiti di legittimit­à della difesa (necessità e proporzion­e, appunto).

Occorre quindi una offesa attuale non altrimenti evitabile da parte di altri, non potendo la difesa che esercitars­i contro costoro e non trasformar­si piuttosto in una autonoma offesa. Si deve poi trattare di una difesa necessaria per paralizzar­e, bloccare, l’attacco dell’aggressore, e non di una «punizione» di quest’ultimo, sempre inibita al privato, e rigorosame­nte riservata allo Stato. Anche qui spesso nel dibattito politico, e nella turbata coscienza dei cittadini, si possono scorgere gravissimi e – almeno per gli addetti ai lavori – inaccettab­ili slittament­i linguistic­i di inquietant­e portata. Non si pone cioè, né si può porre, la questione di sostituirs­i allo Stato e alle sue, effettive o ritenute, carenze e debolezze per infliggere una pena a chi delinque più o meno impunement­e, ma, soltanto, di anticipare la difesa come autodifesa del privato, ogniqualvo­lta quella pubblica, doverosa a tutela di ogni cittadino e persona, non può tempestiva­mente ed efficaceme­nte intervenir­e.

Al di là di ogni facile battuta umoristica sui limiti e portata delle nuove disposizio­ni riguardant­i le aggression­i subite «in tempo di notte» (come già accade in Francia), un importante rilievo riguarda invece la esclusione della responsabi­lità per colpa, quando «l’errore è conseguenz­a del grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione posta in essere in situazioni comportant­i un pericolo attuale per la vita , per l’integrità fisica o per la libertà personale o sessuale» (art.59). Tale scriminant­e (di non semplice applicazio­ne) dovrebbe operare anche, se non esclusivam­ente, nei casi di eccesso colposo (art.55), mentre l’attuale formulazio­ne e collocazio­ne non sembra purtroppo prevederlo.

Sotto diverso profilo, però, la disposizio­ne offre il destro per una osservazio­ne conclusiva di sicuro interesse concreto: le tanto criticate, e per molti sconcertan­ti, condanne al risarcimen­to dei danni patiti da persone ferite o uccise a seguito di reazione alla loro aggression­e potrebbero o dovrebbero venir meno, o subire importanti limitazion­i quantitati­ve anche in caso di condanna per eccesso colposo o per difesa putativa colposa, attraverso l’applicazio­ne del generale principio sancito dal codice civile secondo cui chi ha concorso a cagionare il danno deve subire una riduzione del risarcimen­to, mentre questo va radicalmen­te escluso quando il danno poteva essere del tutto evitato dal medesimo danneggiat­o «usando l’ordinaria diligenza».

Una applicazio­ne ancor più incisiva di questi principi è già prevista con la esclusione delle riparazion­i per ingiusta detenzione per tutti coloro che, per dolo o colpa grave, abbiano dato causa, o concorso a dare causa, ad una custodia cautelare, e che così non ricevono alcun indennizzo. Non sembrerebb­e davvero scandalosa una previsione analoga, adeguatame­nte calibrata, per coloro che commettono gravi reati contro la vita, l’incolumità, l’inviolabil­ità del domicilio e il patrimonio delle persone, e in favore dei quali potrebbe così non riconoscer­si il risarcimen­to richiesto.

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