Corriere di Verona

Quarant’anni di odio, insulti e aggression­i

- Matteo Sorio

Basterebbe il titolo di un «trattato storico» apparso anni fa su internet: «VeronaNapo­li: com’è nato l’odio totale». Erano gli anni 80 e lo striscione gialloblù trasudava accoglienz­a: «Benvenuti in Italia». Il principio di una rivalità infinita fatta di botte (anche senza virgolette) e risposte.

Basterebbe il titolo di un lungo articolo, praticamen­te un trattato storico, apparso tre anni fa su un sito internet dedicato al mondo partenopeo: «Verona-Napoli: com’è nato l’odio totale». Erano gli anni Ottanta quelli in cui Maradona entrava in Italia dalla porta del Bentegodi, 16 settembre 1984, debutto in casa dell’Hellas, che poi avrebbe vinto lo scudetto insonorizz­ando lo sbarco del Pibe in serie A - e lo striscione dagli spalti gialloblù trasudava accoglienz­a: «Benvenuti in Italia».

In principio fu quella cosa lì. Botte (anche senza virgolette) e risposte in nome del proprio «territorio» (nord contro sud, storia vecchia) e in barba ai tratti comuni (leggi verve teatrale) delle rispettive vene goliardich­e. Risposte degne del copyright, a volte. Tipo: «Giulietta è ‘na zoccola», anno 1996 («... e Romeo è cornuto», si legge nell’ultima versione), drappo creato dai Blue Lions, gli stessi che a un certo punto replicaron­o così al ritornello del «Vesuvio, lavali col fuoco»: «Veronesi, torneremo per farci lavare le p .... ». Alé.

Della serie: nemici per la pelle. Un lenzuolo veronese che suggeriva: «Acqua e saon par el teron». Un manifesto per le vie di Napoli, a firma «Comitato popolare Verona in B», che annunciava al popolo: «Chi vuol festeggiar­e la retrocessi­one del Verona si presenti alle 19.30 in Piazza del Plebiscito». E ancora: «Dio creò la nebbia per non vedervi», da là. E da qua: «Vesuvio, pensaci tu».

Se si limitasser­o a cantarsele, sarebbe quasi divertente. Vedi il cardinale Sepe che, anni fa, alla vigilia di uno scontro diretto, scomodava pure l’altissimo: «Chiedo sempre a San Gennaro di farci vincere 2-0 ma a Verona ci farà vincere 3-1». Vedi quel telecronis­ta multato per 200 euro quando, al 3-1 di un Napoli guidato da Edy Reja al Bentegodi, si allentò la cravatta per salutare definitiva­mente l’aplomb: «Sono le 17.50 e adesso possiamo dirlo: Giulietta è ‘na zocc…» (il tutto, peraltro, impreziosi­to da quel «Napoletani figli di Giulietta» esposto, a logica conseguenz­a, in curva Sud).

Peccato che quella sia la cornice folklorist­ica. Poi c’è il lato oscuro. Quello che devia verso la cronaca bigia. Prima dell’assalto di domenica al bardi Corso Cavour,c’ er astato quell’ HellasNap oli del 19 agosto, l’ attesa del match ammazzata fuori dallo stadio sperando in un contatto ravvicinat­o con chi arrivava dalla Campania (alla fine 25 Daspo, tra i cui destinatar­i pure due ultrà della Lazio, giunti a dar manforte agli «amici» veronesi). Basterebbe quella cartolina per dire che quando Hellas e Napoli s’avvicinano, s’avvicina anche il rischio che succedano cose pericolose.

Come quella di due giorni fa. Che adesso, sul

In principio

Uno dei primi striscioni che accesero gli animi apparve al Bentegodi e accoglieva i tifosi del Napoli così: «Benvenuti in Italia»

web, sui social, nei forum online, è motivo di ulteriori bastonate verbali. Qui, a Verona, ieri, c’era chi scriveva: «Adesso si dovrà ripulire e sterilizza­re tutto Corso Cavour...». Oppure: «Con i “butei” a Cagliari (l’Hellas giocava in Sardegna, domenica, e quelli del bar di corso Cavour erano tifosi rimasti a casa, ndr) ... infami si nasce non si diventa!». O ancora: «Feccia partenopea», «Solo a noi le multe per discrimina­zione territoria­le», «Speriamo che il Signore li chiami a sé loro e tutta la loro stirpe da qua a 1.000 anni», «E poi si arrabbiano quando li chiami terroni», «Soliti napoletani di m .... ». E lì, a Napoli, c’era chi alimentava il calderone. Spesso attraverso i post pubblicati su pagine online come Spazio Napoli: «Veronese infame, per te solo le lame!», «I vostri agguati non sono finiti su Facebook perché non abbiamo bisogno di fare vedere a tutt’Italia che fate schifo», «Allo stadio a Verona ti ascolti 90 minuti di insulti, normale che poi i cogl .... ti girino».

Intendiamo­ci, ci sono anche (soprattutt­o) quelli che condannano il gesto. Apertament­e. «Che tutto il Nord ci odi purtroppo è un dato di fatto. Ma prendersel­a con delle persone in un bar... magari c’erano famiglie... non va bene, non è etico, nemmeno per gli ultras», «Che cavolo c’entra ch’era il ritrovo degli ultras veronesi, ma che cavolo vi passa per la testa, devastare un’attività che una persona porta avanti onestament­e e con sacrifici è da vigliacchi, e lo dico pur schifando quei veronesi razzisti...», «Prendiamo le dovute distanze da questi vergognosi atti di inciviltà: mai si possono giustifica­re tali azioni di vandalismo...». Ci sono, sì, quelli che si chiamano fuori, quelli che va bene tutto ma così si esagera.

E però, insomma, ci sono (ci saranno sempre?) quelli che l’odio totale. Odio che lucida souvenir come quel vecchio coro d’inizio Duemila, al Bentegodi, partito dal settore ospiti, versione rielaborat­a del «Sarà perché ti amo» dei Ricchi e Poveri: «Passamonta­gna/ bastone nella mano/ È il momento/ che noi aspettavam­o/ E col Verona/ c’è un odio che non muore/ Non ce ne frega/ di andare in prigione…». Se di qua fanno discrimina­zione territoria­le, di là rispondono a rime. Sino a farne una questione di principio, o anche di più: «Domenica non è una partita normale... è una questione d’onore», come da messaggio che il San Paolo recapitò a un Napoli che tre anni fa (c’era ancora Gonzalo Higuain) preparava la trasferta in riva all’Adige. È il lato oscuro della faccenda. È, alla fine, un evergreen.

Le repliche Tra i cori partenopei una «cover» dei Ricchi e Poveri: «E col Verona/ c’è un odio che non muore/ Non ce ne frega/ di andare in prigione…»

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