Difesa del suolo, dai Consorzi 697 progetti per 1,7 miliardi
Romano (Anbi): dalla Regione neppure un euro in 2 anni
Il Veneto sa bene cosa voglia dire fare i conti con un’alluvione. Negli ultimi mesi ha dovuto imparare a convivere anche con la siccità, fortunatamente interrotta dalla perturbazione di questi giorni. Troppa acqua, o troppo poca: il territorio è vulnerabile e non è probabilmente un caso che l’importo complessivo degli interventi che gli undici consorzi di bonifica della regione ritengono necessari per combattere il dissesto idrogeologico sia più alto di quello di ogni altra regione in Italia, il 22 per cento del totale. Si tratta di un totale di 697 progetti per un valore complessivo stimato di 1,7 miliardi di euro, su un fabbisogno nazionale stimato in poco meno di otto miliardi.
Sarebbe questa, quindi, la lista della spesa necessaria ad un cambiamento culturale profondo, il passaggio dalla rincorsa all’emergenza alla prevenzione. Ma sono le risorse, prevedibilmente, il tasto dolente della questione, senza le quali tutto questo diventa poco più che un libro dei sogni. Le opere pensate dai consorzi sono state inserite in tre diversi piani nazionali, quello per la mitigazione del rischio idrogeologico, il piano «Invasi» e «Italia Sicura». Ognuno di questi piani attinge a finanziamenti pubblici, ad oggi largamente insufficienti «Al ministero e alla Regione Veneto chiediamo di passare dalle parole ai fatti», sottolinea il presidente Anbi Veneto Giuseppe Romano. Ma se a Roma qualche impegno è stato preso (tra cui la recente promessa del premier Gentiloni di mettere i primi 50 milioni di euro sugli invasi già in questa legge di stabilità) il dito è puntato soprattutto contro la Regione che, negli ultimi due anni, a detta della sezione veneta dell’associazione nazionale dei consorzi di bonifica, non ha stanziato nemmeno un euro. «Il nostro auspicio è che già nella legge di Bilancio che sta discutendo in questi giorni, si mettano in campo le risorse necessarie per contribuire al finanziamento a opere fondamentali per il territorio e i cittadini - continua Romano - Si tratta di interventi che non possono essere più procrastinati».
Tra le opere richieste, ce ne sono alcune che sono diventate ormai d’attualità nel dibattito pubblico dopo la grande alluvione che ha colpito il Veneto nel novembre di sette anni fa: 23 nuovi bacini di laminazione (per un totale di 268 milioni di euro), 62 interventi di potenziamento degli impianti idrovori (88 milioni di euro), 17 scolmatori di piena (per 38 milioni di euro). Ma molti degli interventi proposti guardano al lato opposto del problema: conservare l’acqua per far fronte ai periodi di scarsità di precipitazioni. Si va dagli interventi di «riconversione irrigua» (ovvero il passaggio dall’irrigazione con i canali a scorrimento a quella con i tubi a pressione) agli stessi invasi che, secondo i consorzi, possono avere una duplice funzione: non solo quella di contenere le piene dei corsi d’acqua, ma anche quella di immagazzinare risorse idriche per i momenti di magra. I progetti per nuovi invasi in Veneto sono 56 (circa un terzo dei 188 nazionali), per un fabbisogno di 550 milioni di euro. Quasi un terzo di questi sono assorbiti da un unico progetto: un invaso multiplo sul torrente Vanoi (zona Dolomiti) da 130 milioni di euro.
Da dove iniziare, quindi? Parrebbe ragionevole pensare, prima di tutto, ai progetti già in fase esecutiva, e quindi immediatamente cantierabili: in Veneto sono 25, per un totale di 65 milioni di euro. Alcuni sono di modesta entità, come la cassa di espansione sul torrente Mardignon a Romano d’Ezzelino (Vi), per 500 mila euro; altri sono più complessi e costosi, come i 10 milioni richiesti per la difesa idraulica della zona nord di Padova. Ma al momento, di soldi non ce ne sono proprio.