Il budget, la rosa e il ruolo dei tifosi
La vera svolta che può dare il Verona da qui alla fine del campionato è trasformarsi in un’entità unica, composta da società, allenatore, giocatori e tifosi, e lottare fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata di campionato per conquistare una salvezza che sarebbe manna dal cielo. Il motivo è presto detto: l’austerity che ha contraddistinto l’operato del presidente Maurizio Setti e dei suoi collaboratori ha prodotto quello che è sotto gli occhi di tutti: un organico composto da giocatori con evidenti lacune tecniche che giorno dopo giorno stanno cercando di diventare una squadra, ma che in certe occasioni - leggi la partita di Cagliari - si dimenticano gli attributi negli spogliatoi e perdono una gara che - con la grinta e il carattere dimostrati contro l’Inter - si poteva tranquillamente portare a casa (non solo il pari, anche la vittoria). Ciò cosa significa? Significa che è difficile togliere il sangue da una rapa. Significa che ci si deve abituare, nostro malgrado, a subire gol per degli errori individuali (è successo in quasi tutte le partite sin qui disputate) che poco hanno a che vedere con le responsabilità di un allenatore. Che colpa ne ha Pecchia se Souprayen si addormenta e Faragò gli ruba la palla e segna? Si potrebbe dire: «Non lo deve mandare in campo». Certo, ma al suo posto chi manda in campo vista la rosa a disposizione e la lunga lista degli infortunati? Gira e rigira, si va sempre a parare lì: la pochezza dell’organico. Va detto che il Verona inteso come club - è stato chiaro in proposito: con 39 milioni di euro di budget, il 55% dei quali impiegati nel pagamento degli emolumenti ai calciatori, resta poco spazio ai voli pindarici. Voli pindarici che rischiavano di costare caro nella stagione della retrocessione in serie B, quando l’Hellas è andato vicino alla sparizione, salvato solo dall’anticipo di 13 milioni sul «paracadute». Cosa fare allora da qui in avanti? Servirebbe una presa di coscienza importante, soprattutto da parte dei tifosi. Prediligere il tifo razionale a quello del cuore. Cioè, ingerire il boccone amaro di non avere una squadra all’altezza della serie A e lottare assieme a essa per restare in serie A. Facile a dirsi, difficile a farsi. Ma l’impressione è che mai come in questa stagione le contestazioni, siano esse nei confronti di società, allenatore o giocatori, non porterebbero da nessuna parte. Forse, unendo gli intenti (tutti vorremmo l’Hellas in serie A) si può ottenere il risultato.