AUTONOMIA COOPERATIVA SUI PORTI
Con una punta di civetteria Jeff Besos, il capo di Amazon, definisce la sua azienda «una piattaforma informatica che qualche volta consegna merci a domicilio». Lo fa per sottolineare che è la «transizione digitale» il fenomeno che ha ottimizzato la logistica del consumo. Un efficientamento ottenuto in ogni parte del mondo entro i limiti delle infrastrutture e dei servizi, digitali, di trasporto e di stoccaggio, disponibili. Una transizione analoga con portata ancor più rivoluzionaria sta interessando oggi la logistica della produzione, con movimentazioni che riguardano sia le materie prime, sia i semilavorati e i prodotti finiti, su mercati che vanno dal globale al locale. I suoi effetti sui costi logistici si intrecciano con quelli manifatturieri puri con conseguenze positive sul produttività e competitività delle imprese. Encomiabile, dunque, che il nostro Mit, il Ministero Infrastrutture dei trasporti, abbia voluto attirare l’attenzione sul tema, convocando a Venezia per il Nordest, la scorsa settimana, quegli Stati generali della logistica che aveva già convocato mesi fa per il Nordovest, e costituendo con le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto, con le loro Autorità di sistema portuale e con gli Interporti riuniti una Cabina di regia per «pensare assieme per più lavoro e più sviluppo», come ha chiosato il ministro Delrio. Iniziativa lodevole. E un esercizio tipico di quella «autonomia cooperativa» che ci augura possa uscire dal confronto post-referendario tra Stato e Veneto.
Confronto che potrebbe diventare prezioso per una iniziativa oggi ancora allo stato embrionale, perché bisognosa di estensione ad altri «ceti sociali», che ne giustifichino il nome ambizioso di Stati Generali, e ad altre dimensioni sia della rivoluzione logistica sia dei vincoli infrastrutturali che oggi la frenano a Nordest. La rivoluzione digitale nella logistica delle merci è solo all’inizio. Non c’è un Amazon che la domina, tanto meno a Nordest, e i pretendenti alla gestione informatica del processo vanno dalle grandi imprese di produzione, ai maggiori operatori logistici tradizionali, ai grandi carrier marittimi etc. La Cabina di Regia ha molto da fare al riguardo, purché ammetta subito al tavolo i grandi assenti attuali: i caricatori industriali ed agrari, i veneti in prima fila, interessati «perché dei servizi logistici pagano il conto». Occorre poi che la Cabina di regia vada oltre l’approccio «talassocratico» che fa coincidere i problemi del Nordest con quelli dell’alto Adriatico. Ma occorrono poi alcune altre integrazioni, senza le quali l’iniziativa difficilmente raggiungerà risultati utili. La prima è il suo allargamento alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Senza di esse non c’è Nordest. E senza di esse non si può parlare utilmente del Brennero e dello sviluppo verso la Baviera, lo sbocco europeo naturale di Emilia-Romagna e Veneto. La seconda è un allargamento alla Lombardia per mettere a frutto – omissione altrimenti clamorosa -il fatto che il Nordest è il solo sistema logistico che può contare sulla navigazione Interna, su una «cura dell’acqua dolce»; con i porti di Venezia e Ravenna terminali a mare del sistema idroviario Padano Veneto oggi pienamente operativo almeno fino a Mantova. La terza integrazione, necessaria quanto coraggiosa, è quella di coinvolgere nei dovuti modi la Slovenia e la Croazia, cioè i porti di Capodistria e di Fiume, che con Ravenna, Venezia e Trieste formano un unico vero sistema portuale. I precedenti europei esistono già: il porto unico danese-svedese di Helsingborg, Copenaghen e Malmö sta dando da tempo ottimi frutti. Gli stessi che l‘Unione Europea ha suggerito di raccogliere con una radice portuale unica mediterranea del corridoio Ten-T Adriatico- Baltico e articolata in tutti e cinque i porti «core» da Ravenna a Fiume. Senza il coinvolgimento dei due porti sloveno e croato è velleitario programmare ogni espansione competitiva della portualità Alto Adriatica. Tanto meno uno sviluppo all’altezza dell’occasione offerta dalla Cina e della sua determinazione di puntare al terminale occidentale della Via della seta marittima attorno a Venezia. La reticenza attorno a questo tema strategico sui rapporti del Nordest-Alto Adriatico con la Cina è un difetto grave da rimuovere al più presto. Il rischio è di non cogliere la reiterata proposta cinese, fatta da Xi Jinping in persona, di puntare con Venezia sul terminale mediterraneo che integra, per la Cina, il Pireo nell’organizzare i traffici tra l’Asia e l’Europa. Appare ragionevole che non debba essere solo Venezia, ma l’intero Alto adriatico, a raccogliere la sfida di cinese. Va in questo senso l’obiettivo riconosciuto dal Mit di organizzare in alto Adriatico il transito di 6 milioni di Teu (l’unità di misura dei container) annui per il 2030. Ma questo esige programmi e progetti coerenti di adeguamento di tutte le infrastrutture logistiche a mare, in tutto l’alto Adriatico, e a terra, in tutto il Nordest. Campo ideale per ogni esercizio di autonomia regionale praticata.