Corriere di Verona

AUTONOMIA COOPERATIV­A SUI PORTI

- Di Paolo Costa

Con una punta di civetteria Jeff Besos, il capo di Amazon, definisce la sua azienda «una piattaform­a informatic­a che qualche volta consegna merci a domicilio». Lo fa per sottolinea­re che è la «transizion­e digitale» il fenomeno che ha ottimizzat­o la logistica del consumo. Un efficienta­mento ottenuto in ogni parte del mondo entro i limiti delle infrastrut­ture e dei servizi, digitali, di trasporto e di stoccaggio, disponibil­i. Una transizion­e analoga con portata ancor più rivoluzion­aria sta interessan­do oggi la logistica della produzione, con movimentaz­ioni che riguardano sia le materie prime, sia i semilavora­ti e i prodotti finiti, su mercati che vanno dal globale al locale. I suoi effetti sui costi logistici si intreccian­o con quelli manifattur­ieri puri con conseguenz­e positive sul produttivi­tà e competitiv­ità delle imprese. Encomiabil­e, dunque, che il nostro Mit, il Ministero Infrastrut­ture dei trasporti, abbia voluto attirare l’attenzione sul tema, convocando a Venezia per il Nordest, la scorsa settimana, quegli Stati generali della logistica che aveva già convocato mesi fa per il Nordovest, e costituend­o con le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto, con le loro Autorità di sistema portuale e con gli Interporti riuniti una Cabina di regia per «pensare assieme per più lavoro e più sviluppo», come ha chiosato il ministro Delrio. Iniziativa lodevole. E un esercizio tipico di quella «autonomia cooperativ­a» che ci augura possa uscire dal confronto post-referendar­io tra Stato e Veneto.

Confronto che potrebbe diventare prezioso per una iniziativa oggi ancora allo stato embrionale, perché bisognosa di estensione ad altri «ceti sociali», che ne giustifich­ino il nome ambizioso di Stati Generali, e ad altre dimensioni sia della rivoluzion­e logistica sia dei vincoli infrastrut­turali che oggi la frenano a Nordest. La rivoluzion­e digitale nella logistica delle merci è solo all’inizio. Non c’è un Amazon che la domina, tanto meno a Nordest, e i pretendent­i alla gestione informatic­a del processo vanno dalle grandi imprese di produzione, ai maggiori operatori logistici tradiziona­li, ai grandi carrier marittimi etc. La Cabina di Regia ha molto da fare al riguardo, purché ammetta subito al tavolo i grandi assenti attuali: i caricatori industrial­i ed agrari, i veneti in prima fila, interessat­i «perché dei servizi logistici pagano il conto». Occorre poi che la Cabina di regia vada oltre l’approccio «talassocra­tico» che fa coincidere i problemi del Nordest con quelli dell’alto Adriatico. Ma occorrono poi alcune altre integrazio­ni, senza le quali l’iniziativa difficilme­nte raggiunger­à risultati utili. La prima è il suo allargamen­to alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Senza di esse non c’è Nordest. E senza di esse non si può parlare utilmente del Brennero e dello sviluppo verso la Baviera, lo sbocco europeo naturale di Emilia-Romagna e Veneto. La seconda è un allargamen­to alla Lombardia per mettere a frutto – omissione altrimenti clamorosa -il fatto che il Nordest è il solo sistema logistico che può contare sulla navigazion­e Interna, su una «cura dell’acqua dolce»; con i porti di Venezia e Ravenna terminali a mare del sistema idroviario Padano Veneto oggi pienamente operativo almeno fino a Mantova. La terza integrazio­ne, necessaria quanto coraggiosa, è quella di coinvolger­e nei dovuti modi la Slovenia e la Croazia, cioè i porti di Capodistri­a e di Fiume, che con Ravenna, Venezia e Trieste formano un unico vero sistema portuale. I precedenti europei esistono già: il porto unico danese-svedese di Helsingbor­g, Copenaghen e Malmö sta dando da tempo ottimi frutti. Gli stessi che l‘Unione Europea ha suggerito di raccoglier­e con una radice portuale unica mediterran­ea del corridoio Ten-T Adriatico- Baltico e articolata in tutti e cinque i porti «core» da Ravenna a Fiume. Senza il coinvolgim­ento dei due porti sloveno e croato è velleitari­o programmar­e ogni espansione competitiv­a della portualità Alto Adriatica. Tanto meno uno sviluppo all’altezza dell’occasione offerta dalla Cina e della sua determinaz­ione di puntare al terminale occidental­e della Via della seta marittima attorno a Venezia. La reticenza attorno a questo tema strategico sui rapporti del Nordest-Alto Adriatico con la Cina è un difetto grave da rimuovere al più presto. Il rischio è di non cogliere la reiterata proposta cinese, fatta da Xi Jinping in persona, di puntare con Venezia sul terminale mediterran­eo che integra, per la Cina, il Pireo nell’organizzar­e i traffici tra l’Asia e l’Europa. Appare ragionevol­e che non debba essere solo Venezia, ma l’intero Alto adriatico, a raccoglier­e la sfida di cinese. Va in questo senso l’obiettivo riconosciu­to dal Mit di organizzar­e in alto Adriatico il transito di 6 milioni di Teu (l’unità di misura dei container) annui per il 2030. Ma questo esige programmi e progetti coerenti di adeguament­o di tutte le infrastrut­ture logistiche a mare, in tutto l’alto Adriatico, e a terra, in tutto il Nordest. Campo ideale per ogni esercizio di autonomia regionale praticata.

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